Fino al 4 novembre Palermo, capitale italiana della cultura 2018, è al centro della biennale itinerante dedicata al contemporaneo. Il titolo dalla manifestazione internazionale “Il giardino planetario. Coltivare la coesistenza” si adatta bene alla realtà stratificata dell’antica Balarm (nome arabo della città) che porta come bagaglio l’intreccio di culture diverse e che oggi è teatro di sempre nuove ibridazioni sociali.
Manifesta12 diventa una guida per esplorare Palermo attraverso gli edifici che raccontano il continuo succedersi di dominazioni straniere e che oggi riprendono vita per assolvere alla non facile funzione di “contenere” una riflessione ampia sulla realtà del contemporaneo. L’indagine, ispirata dal botanico francese Gilles Clément, utilizza l’arte come strumento per interrogarsi su due grandi temi: contaminazione e migrazione. In questa mappatura complessa di mostre, installazioni, eventi collaterali che dal grande quadrilatero del centro storico raggiunge realtà ai margini come il quartiere dello Zen, Pizzo Sella e i magazzini Brancaccio, Palermo si racconta come un laboratorio di innovazione sociale in nome della coesistenza.
La biodiversità che caratterizza l’Orto botanico della città lo rende il fulcro della manifestazione, da cui tutto si dipana e trae ispirazione. Il giardino storico, dalla sua fondazione negli anni Novanta del Settecento, ha accolto migliaia di piante provenienti da tutto il mondo che nei secoli hanno dato vita a un micro ambiente comune che garantisce prosperità e floridezza alle specie di diversa provenienza. L’artista colombiano Alberto Baraya parte dalla struttura classificatoria propria dell’archivio delle specie arboree per disegnare un erbario sospeso tra gli alberi della serra Carolina, dove crea una collezione ideale di frammenti vegetali prodotti industrialmente e scovati dall’artista in diversi luoghi della Sicilia (religiosi e laici). Nell’installazione Lituation l’artista sudafricano Lungiswa Gqunta racconta il giardino come uno spazio labile e stratificato, luogo di memoria, di rituali sacri e storie di oppressione. Il tema della migrazione come necessità dolorosa torna nell’installazione che Patricia Kaersenhout presenta nella bellissima location di Palazzo Forcella De Seta, costruito nell’Ottocento in stile neogotico proprio al di sopra delle mura cittadine. L’installazione The Soul of Salt, un’immensa e lucente montagna di sale, racconta l’antica tradizione caraibica degli “Africani Volanti”, schiavi che si dice evitassero di mangiare il sale per diventare così leggeri da essere in grado di ritornare in volo fino in Africa.
Da non perdere la visita al settecentesco palazzo Butera, maestosa dimora che si affaccia sul mare e che in momenti diversi ha ospitato Johann Wolfgang von Goethe, il kaiser Guglielmo II di Germania e Giuseppe Tomasi di Lampedusa. La visita si apre attraversando l’installazione dell’artista torinese Renato Leotta: un tappeto in maioliche di argilla cruda dove, sparse come una costellazione di segni, si leggono le sagome ovali e porose di limoni caduti dagli alberi di Sicilia che popolavano la Conca d’oro. Il viaggio immersivo nel giardino – spesso inteso come metafora – continua nella sala decorata dai Fallen Fruit, Theatre of the sun, un installazione con carta da parati dai colori intensi che, associata ad una mappa della città, indica la posizione degli alberi da frutto in diverse zone della città spesso ignorate e dimenticate.
Il restauro di Palazzo Butera è opera dei coniugi Valsecchi che hanno deciso di investire su Palermo portando qui la loro collezione già proposta al Getty Museum di Los Angeles e al Mudec di Milano ma che per una serie di felici circostanze è finalmente approdata in Sicilia. Massimo Valsecchi dichiara che “ha deciso di investire sui siciliani, che nel loro DNA hanno qualcosa di diverso da chiunque altro, dato dalla capacità, sviluppata nei secoli, di accogliere, metabolizzare e trasformare qualsiasi cultura e religione con cui vengano a contatto”. Una scommessa dunque sul futuro che, a partire dal recupero dei fasti del passato, investe sul potenziale creativo e culturale della città. Palermo rappresenta un punto di partenza per guardare al futuro e la prima tappa di questa visione in prospettiva è stata proprio Manifesta12 che ha scelto il terzo piano di Palazzo Butera come uno dei punti nevralgici della sua mappatura diffusa attraverso la città.
Sono tante le sedi e i palazzi aperti per ospitare la biennale nomade: Palazzo Ajutamicristo, lo Spasimo, l’Oratorio di San Lorenzo, la Casa del Mutilato, Palazzo Trinacria, l’Oratorio della Madonna Rifugio dei Peccatori Pentiti, Palazzo Costantino e di Napoli che, insieme a Palazzo Oneto di Sperlinga, sono proprietà di Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona e Cesira Palmeri di Villalba, altri due investitori e appassionati d’arte che hanno acquistato e aperto alla città palazzi che restituiscono la grandiosità barocca di Palermo. Palazzo Oneto, uno degli spazi che ospita gli eventi collaterali di Manifesta12, accoglie diverse mostre nei due piani che si aprono su una grande scalinata a struttura ottogonale, tra queste: il progetto Ceiba garden project 2007/2018 presentato da Michele Guido che sviluppa proprio il tema dell’importazione e coesistenza delle piante; la maestosa installazione di luminarie spente di Massimo Bartolini e il progetto La Città negata realizzato da Ottonella Mocellin-Nicola Pellegrini con l’aiuto di due non vedenti, un’audioguida che svela una Palermo non convenzionale dove la mancanza di vista è compensata da una ricchezza di segni con i quali è possibile decodificare il mondo.
Tra gli eventi collaterali è di grande impatto l’installazione The other self di Per Barclay che vede il pavimento della Cavallerizza di Palazzo Mazzarino trasformarsi in un’enorme chiazza d’olio dove colonne e archi si riflettono adagiandosi immobili sull’immagine duplicata. Il poetico e fotografico disegno delle architetture sulla superficie densa dell’olio, consente un gioco di illusione immersiva nel contesto doppio – reale e riflesso – messo in scena dall’installazione.