World Happiness Report, quali sono i paesi più felici del mondo (e perché)
Da dieci anni il World Happiness Report cerca di dare una fotografia di come sta il mondo. Non una missione semplice, specialmente per l’edizione del 2022 – che prende evidentemente in considerazione i numeri dello scorso anno – direttamente figlia del biennio pandemico. Le informazioni utilizzate dagli esperti del Sustainable Development Solutions Network per stilare la loro classifica vanno infatti dal 2019 al 2021 e per certe sezioni del rapporto, che è ben più ampio ed esaustivo della classifica dei paesi “più felici del mondo”, affonda le radici addirittura al 2017.
Da dove viene il World Happiness Report: il regalo del Bhutan
Prima di entrare nel vivo dell’ultima edizione, però, occorre fare un passo indietro di dieci anni. Il rapporto esiste infatti grazie a un piccolo paese asiatico, il misterioso Bhutan, regno buddhista abbarbicato sull’Hymalaya occidentale, cerniera fra India e Cina chiusa al mondo fino agli anni Settanta, ricca di monasteri situati in posti naturalisticamente strepitosi e paesaggi mozzafiato che spaziano dalle vette oltre 7mila metri alle pianure subtropicali passando per le infinite vallate. Venne proprio dal Bhutan, che già da tempo indagava sui livelli di felicità dei suoi 770mila abitanti, la spinta all’adozione, da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 19 luglio 2011, della risoluzione 65/309. Quella in cui si invitavano i governi a “dare più importanza alla felicità e al benessere nel determinare come raggiungere e misurare lo sviluppo sociale ed economico”. Più avanti, con la risoluzione 66/281, l’Assemblea proclamò il 20 marzo come la giornata internazionale della felicità, data che divenne la scadenza fissa per la pubblicazione della nuova edizione del rapporto.
Sembra incredibile parlarne mentre il mondo affronta l’ennesima guerra ma occorre farlo proprio perché il rapporto ha dimostrato nel tempo la capacità di ispirare verso miglioramenti e buone pratiche in tutto il pianeta. Dal 2013 è appunto il Sustainable Development Solutions Network a occuparsene insieme al Center for Sustainable Development della Columbia University. Entrambi gli enti sono diretti dall’economista Jeffrey D. Sachs, massimo esperto del settore e per molti anni “special advisor” dei vari segretari generali dell’Onu per gli obiettivi di sviluppo sostenibile. A finanziare i costi amministrativi e pratici (il lato scientifico è interamente pro bono) sono donazioni e finanziamenti da The Ernesto Illy Foundation, illycaffè, Davines Group, Unilever, The Blue Chip Foundation, The William, Jeff, and Jennifer Gross Family Foundation, The Happier Way Foundation e The Regenerative Society Foundation.
“Un decennio fa i governi di tutto il mondo hanno espresso il desiderio di porre la felicità al centro dell’agenda di sviluppo globale e hanno adottato una risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a tale scopo – ricorda Sachs in una nota – il World Happiness Report è nato da quella determinazione mondiale a trovare la strada per un maggiore benessere globale. Ora, in un momento di pandemia e guerra, abbiamo bisogno più che mai di un tale sforzo. E la lezione del World Happiness Report nel corso degli anni è che il sostegno sociale, la generosità reciproca e l’onestà nel governo sono fondamentali per il benessere. I leader mondiali dovrebbero prestare attenzione. La politica dovrebbe essere diretta come i grandi saggi hanno insistito molto tempo fa: al benessere del popolo, non al potere dei governanti”.
I risultati: la Finlandia in testa per il quinto anno di seguito
Sono molte le fonti dei dati utilizzate per le analisi del rapporto, anche se la principale è il Gallup World Poll. I risultati non stupiscono: per il quinto anno di fila è la Finlandia a occupare il posto più alto in classifica, quello di “paese più felice del mondo”. Con un punteggio quest’anno significativamente superiore agli altri paesi della top 10, specie se confrontato col passato. Alla seconda piazza rimane la Danimarca con l’Islanda che ha guadagnato una posizione, passando dal quarto al terzo gradino. La Svizzera è quarta, seguita da Paesi Bassi e Lussemburgo. Le prime dieci posizioni si chiudono con Svezia, Norvegia, Israele e Nuova Zelanda. L’Italia si colloca al 31esimo posto su 146 paesi analizzati, poco sopra Malta e Kosovo e appena sotto l’Uruguay, con un punteggio di 6.467. Ovviamente ciascuno può avere il proprio giudizio. Nel dettaglio, la valutazione italiana risente dei bassi punteggi in alcune delle sei variabili considerate: per esempio nel supporto sociale (1.052 punti contro i 1.258 della Finlandia), nella generosità (0.085 contro 0.109 della prima in classifica) e della libertà di fare scelte essenziali nella vita (0.412 contro 0.736). Meno marcata la forchetta su prodotto interno lordo pro capite, sostanzialmente uguale (1.834 punti contro 1.854), e addirittura a vantaggio italiano nell’aspettativa di vita in salute (0.801 contro 0.775).
Le variabili sono appunto prodotto interno lordo pro capite, supporto sociale, aspettativa di vita in salute, libertà, generosità e corruzione. Ciò che occorre tenere presente nel formarsi un giudizio su questo rapporto è che i ranking non sono basati su indici specifici per ciascuno di questi parametri ma sui giudizi personali delle persone rispetto alle proprie vite, per come espresse nelle loro risposte alle domande valutate poi attraverso la cosiddetta scala Cantril, ideata negli anni Sessanta.
Cosa ci ha lasciato la pandemia: forse ne siamo davvero usciti migliori
I due anni di pandemia non sembrano passati invano. Tutto il contrario: “Nel corso del 2021 abbiamo registrato una significativa crescita globale di tutti e tre gli atti di gentilezza monitorati dal Gallup World Poll – ha spiegato John Helliwel, principale autore del rapporto – aiutare gli sconosciuti, fare volontariato ed effettuare donazioni sono stati atteggiamenti fortemente in crescita in ogni parte del mondo, raggiungendo livelli superiori di quasi il 25% rispetto a quelli pre-pandemici. Quest’ondata di benevolenza, particolarmente accentuata nell’aiuto rivolto agli altri, fornisce prove evidenti che le persone rispondono quando c’è da aiutarne altre in situazione di bisogno e così facendo creano più felicità per i beneficiari, buoni esempi da seguire per chi le circonda e vite migliori per sé stessi”.
La guerra in coda alla classifica
Le ultime posizioni della classifica sono occupate dall’Afghanistan al 146esimo posto e, a salire, da Libano, Zimbabwe, Ruanda, Botswana, Lesotho, Sierra Leone, Tanzania, Malawi, Zambia, India, Togo, Giordania, Mauritania, Yemen, Etiopia, Chad, Egitto e ancora Madagascar, Sri Lanka, Myanmar, eSwatini, Namibia, Mali e territori palestinesi al 122esimo posto. “In fondo alla classifica troviamo società che soffrono di conflitti e povertà estrema, in particolare troviamo che le persone in Afghanistan valutano la qualità della propria vita solo come 2.4 su 10 – conclude Jan-Emmanuel De Neve, co-editor del rapporto – si tratta di un chiaro richiamo al danno materiale e immateriale che la guerra arreca alle sue numerose vittime e all’importanza fondamentale della pace e della stabilità per il benessere umano”.