Wearable medical device: come e perché la tecnologia ci salverà la vita
Wearable medical device, ovvero la tecnologia medicale indossabile concepita con l’obiettivo di monitorare lo stato di salute di chi la utilizza, è ormai approdata sul mercato. FuelBand di Nike, Jawbone o Fitbit, tanto per citare alcuni noti, sono braccialetti in grado di acquisire informazioni sulle attività motorie legate al fitness o al ritmo del sonno dialogando con lo smartphone.
Negli States una persona su quattro utilizza già uno di questi device e nei prossimi anni la crescita della tecnologia medicale sarà esponenziale e sempre più specialistica. Un trend che ha spinto anche la Food and drug administration, l’ente governativo americano che verifica l’ammissibilità sul mercato di farmaci e prodotti biomedicali, a rilasciare le linee guide per lo sviluppo di dispositivi a basso o alto rischio per i consumatori. Perché quando parliamo di medical le finalità vanno ben oltre la traccia dei chilometri percorsi durante un allenamento e le relative calorie bruciate. E quella che stiamo vivendo è solo una fase di passaggio, perché con buona probabilità nel giro di qualche anno parleremo di implantable technology, cioè di chip e sensori wireless che non indosseremo ma che saranno impiantati sotto la nostra pelle e dentro il nostro corpo.
Sul mercato intanto si iniziano a trovare device come Ritmo Beats, una fascia addominale che avvolge le pance delle donne in maternità e attraverso dei microsensori monitora lo stato della gravidanza e lo sviluppo del feto, oltre a far ascoltare musica al bambino. Oppure come TempTraq, un cerotto sottile e poco invasivo dedicato al tracciamento della temperatura dei neonati che può inviare i dati biometrici direttamente al pediatra via wireless. Amiko invece, startup milanese, è il medical device che tiene traccia dell’utilizzo di un farmaco e ricorda quando è il momento dell’assunzione con la possibilità di condividere i dati con il medico o con il farmacista. Per chi è utile? Per chi soffre di diabete, perché funziona con le principali penne per l’iniezione di insulina tracciando il livello di glucosio. E ancora: Empatica. Fondata nel 2012 da tre neolaureati in ingegneria al Politecnico di Milano e poi incubata dentro i laboratori di Phisiio del Mit di Boston, l’azienda sviluppa i braccialetti Embrace che analizzano la temperatura corporea, la conduttività della pelle e il battito del cuore: i dati sono poi analizzati da un apposito software che da remoto verifica in tempo reale gli stati emotivi di chi li indossa. Serve per sapere se e quanto siamo felici? No. Pensate a tutte quelle persone affette da autismo o epilessia, che nella maturità portano avanti una vita in maniera autonoma ma comunque sempre a rischio di crisi improvvise. Pensate poi alla presenza di un medico, anche a molti chilometri di distanza, che grazie a internet è in grado di monitorare e allertare servizi di assistenza medica in caso di necessità.
È questa l’attuale e tangibile rivoluzione dei wearable medical device, la possibilità di un controllo da remoto che abbatte le barriere fisiche offrendo uno stile di vita quotidiano che può fare a meno di un contatto fisico con medici e ospedali. Avremo sempre più bisogno di questa tecnologia e avrà sempre più appeal sul mercato perché ci eviterà di fare la fila negli ambulatori, perché permetterà consulti specialistici con personale medico che lavora dall’altra parte del mondo grazie alla condivisione di dati archiviati su piattaforme cloud based. Perché in questi casi la tecnologia può fare davvero delle prediction, delle previsioni sul nostro stato di salute. Che, in sintesi, significa salvare le nostre vite.