Vita Nüwa. Una casa su Marte
“Alpha ha un clima simile a quello delle Hawaii, così viviamo in gran parte all’aperto. Il nostro appartamento è grande all’incirca come la nostra vecchia casa sulla Terra, e ha un giardino.
Alpha è stato uno dei primi habitat a essere costruito, e i nostri alberi sono già grandi.
Vi accorgerete che tutto è su scala ridotta, ma per una città di diecimila abitanti vi sono abbastanza divertimenti: quattro cinema, alcuni buoni ristoranti e molti gruppi di attori e musicisti dilettanti. Bastano pochi minuti per raggiungere le comunità vicine, di modo che le visitiamo spesso per andare al cinema, ai concerti o per cambiare di clima. Vengono eseguiti balletti sul grande palcoscenico del centro ricreativo a bassa gravità che serve tutti i residenti della nostra regione dello spazio. Il balletto a gravità 1/10 è bellissimo da vedere, aggraziato come in un sogno. Lo avete visto in tv, ma nella realtà è ancora meglio. Naturalmente qui su Alpha abbiamo le nostre piscine a bassa gravità e i nostri impianti per volo a propulsione umana. Spesso Jenny e io saliamo fino al Polo Nord e pedaliamo lungo l’asse a gravità zero della sfera per circa mezz’ora, specialmente dopo il tramonto, quando possiamo vedere le tenui luci delle piste sottostanti […].
Se decidete di venire, fateci sapere il numero del volo e vi verremo incontro allo sbarco. Saremo lieti di avervi a cena e di aiutarvi a sistemarvi.
Con i migliori auguri per gli esami, cordialmente.
Edward e Jenny”
L’anno è il 1977 e il libro è Colonne umane nello spazio, di Gerard K. O’Neill, un classico nel genere. Che, beninteso, non è la fantascienza, ma la divulgazione scientifica.
Al momento di scrivere il volume, che in Italia esce per i tipi di Arnoldo Mondadori, O’Neill insegna alla Princeton University. Come molti altri studiosi, in un momento in cui le attività spaziali vivono un calo di popolarità evidente dopo la scorpacciata lunare del decennio prima, O’Neill collabora con la Nasa per diffondere e realizzare l’idea che lui chiama “dell’Alta frontiera”, quella ben lontana dalla Terra. Non è un caso, lo racconta lui stesso nell’introduzione al libro, che nello stesso anno, il ’77, la Nasa supporti uno studio in piccola parte dedicato al confronto di alcuni progetti di habitat extraterrestre. Colonie umane nello spazio non fa che ricapitolarne i migliori, quelli maggiormente confortati dagli studi ingegneristici e dai numeri ricavati “obbiettivamente al calcolatore”.
Lo scopo, in breve, è capire come l’uomo potrà vivere lontano dal suo Pianeta natale. Via dalla sua culla, per dirla con il padre dell’astronautica Kostantin Ciolkovskij (di cui si era già scritto qui).
Meglio sottolineare l’ultimo concetto: lo scopo è capire come l’uomo potrà vivere lontano dalla Terra, non se potrà farlo. Che lo spazio diventi il nostro ambiente di lavoro, prima, e quotidiano poi è dato per scontato.
Lungi dalla fantascienza, sono i tempi in cui viviamo a ribadirlo. Il settore spaziale sarà quello grazie al quale il genere umano costruirà buona parte del suo futuro. Non solo e non tanto perché lo spazio va inteso come destinazione cui trasferirsi in massa – questa, sì, è ancora fantascienza -, ma perché la vita quotidiana di ognuno di noi, lo si sappia o meno, è sempre di più space based.
Basterebbero le telecomunicazioni e la navigazione satellitare a dimostrarlo, ma la lista di esempi va dal precision farming all’agri-food, dalla sostenibilità ambientale al monitoraggio delle infrastrutture, dalla medicina agli scambi borsistici.
Per quanto possa sembrare un paradosso, soprattutto in un momento in cui una pandemia ha inginocchiato il mondo, pensare a come potremmo insediarci su un altro pianeta contribuisce a migliorare la qualità della vita comune qui, sulla Terra. Pensare di raggiungere la Luna o Marte, ed essere in grado di farlo, implica una capacità tecnico-scientifica così elevata da generare, a cascata, vantaggi terrestri che pochi altri settori stimolerebbero in egual modo. Detto altrimenti, lo spazio è un volano tecnologico, ma anche uno stimolo alla collaborazione internazionale, tanto importante da diventare strategico.
Per questo pensare, adesso, a come potrebbe essere una città marziana domani significa contribuire a una vita terrestre migliore già stasera.
Per fortuna sono in molti a saperlo e a stare lavorando a progettualità a lungo termine. Per esempio più di 175 studi di architettura e design in giro per il mondo, che hanno partecipato a una gara indetta dalla Mars Society, l’organizzazione non a scopo di lucro fondata nel 1988 su iniziativa di Robert Zubrin, il cui obbiettivo è promuovere a livello politico l’esplorazione di Marte e sollecitare la comunità scientifica internazionale ad avviare programmi che sviluppino le conoscenze logistiche e scientifiche per future missioni sul Pianeta Rosso.
Risultato della gara? Nüwa, “la prima città autosufficiente sulla superficie marziana”, progettata da Abiboo, studio pluripremiato con sedi in Spagna e negli Stati Uniti. Insieme con altri nove progetti, Nüwa fa parte di un lavoro scientifico sviluppato dalla rete SoNet, un team internazionale di scienziati e accademici.
Secondo le stime, ospiterà dalle 250mila al milione di persone, sarà autosufficiente e composta da uno a cinque nuclei abitati posizionati in punti strategici del Pianeta rosso – proprio come confermavano Jenny ed Edward, gli abitanti del futuro nel libro di O’Neill.
Nüwa si svilupperà in verticale, su in un pendio di una delle scogliere marziane di Tempe Mensa, nella parte centro settentrionale del pianeta, dove il terreno scosceso permette la costruzione di una città incastonata nella roccia, in modo da proteggerla dalle radiazioni e dai meteoriti pur avendo accesso alla luce solare diretta.
L’ubicazione dell’insediamento consentirà un facile accesso all’acqua, forse la risorsa più preziosa oltre l’atmosfera.
Stop: accesso all’acqua? Certo. La cui abbondanza, almeno nel passato di Marte, è stata confermata da studi e osservazioni assortite, non ultimo dalla prima evidenza di rocce sedimentarie in falesia (lo studio è stato pubblicato a maggio 2020 su Nature Communications) scoperta da Francesco Salese, geologo italiano di 32 anni, già parte del team di “Cassis-ExoMars”, la missione dell’Agenzia spaziale europea che da un paio d’anni spedisce immagini da Marte capaci di stravolgerne la conoscenza.
Assodato che su Marte l’acqua dovrà esserci, se non altro perché senza non sarebbe possibile fare alcunché, le principali attività urbane di Nüwa saranno ospitate all’interno della scogliera, in macro-edifici scavati nella roccia. Si tratterà di costruzioni modulari, con elementi residenziali e lavorativi, collegati fra loro da una fitta rete di gallerie. Il design ridurrà le complessità, i costi e le tempistiche di costruzione.
Data di realizzazione lavori? 2054.
Per capire quanto e se tutto sia verosimile, compresa la data di posa del primo mattone marziano, conviene rifarsi a un recente rapporto dell’Accademia internazionale di astronautica, che ha presentato i dettagli tecnici di una prima missione umana verso Marte. Il documento, intitolato Human Mars Missions, è stato coordinato da Giancarlo Genta, professore di Costruzione di macchine al Politecnico di Torino. Genta ha guidato un team internazionale di trenta esperti, tra i quali gli italiani Maria Antonietta Perino, ingegnere di Thales Alenia Space, e il grande astrofisico Giovanni Bignami, scomparso nel 2017: insieme hanno scritto 160 pagine in cui vengono approfondite tutte le tematiche collegate alla nuova, grande frontiera dell’esplorazione spaziale.
Genta, quali sono i contenuti del rapporto?
Nel 2012 l’Accademia internazionale di astronautica ha avviato uno studio dettagliato su come si potrà arrivare su Marte con una missione globale, che cioè coinvolga tutte le agenzie spaziali del mondo, insieme con i privati e le industrie. Non è un progetto, ma un rapporto che presentiamo agli enti spaziali, sul come e sul perché raggiungere il Pianeta Rosso con equipaggi umani. Nel 2015 lo abbiamo concluso e consegnato. La sua pubblicazione risale al 2016, per i tipi di Virginia Press. In seguito, ho scritto un libro intitolato Next stop Mars – The Why, How, and When of Human Missions, pubblicato da Springer-Praxis, che presto uscirà in italiano da Bietti. Ora stiamo concludendo un nuovo rapporto, sempre per la IAA, dedicato alle sinergie tra l’esplorazione lunare e quella marziana. Lungi dal documento tecnico, questi studi dell’Accademia di astronautica sono una discussione tra esperti sul tema “Uomo su Marte” e si rivolgono al pubblico in generale e in particolare ai politici che dovranno prendere le decisioni necessarie per la realizzazione delle missioni.
Quindi, come arriveremo sul Pianeta rosso?
I metodi sono più di uno e diversi, ma siamo convinti che l’ideale sia prima di tutto realizzare una base sulla Luna, dove imparare a vivere in ambienti così ostili. È l’idea del cosiddetto “Moon Village”, lanciata un paio di anni fa dall’ex direttore generale dell’Agenzia spaziale europea, Johann-Dietrich Wörner.
Nel documento ci poniamo domande relative a cosa si dovrà fare dopo la Stazione Spaziale Internazionale, che resterà operativa fino al 2028. Pensiamo sia utile, e fattibile in tempi relativamente brevi, realizzare una stazione, sempre sulla base della cooperazione internazionale, ma sulla Luna. Stazione che sarà poi essenziale nella successiva esplorazione di Marte.
A proposito di insediamenti extraterrestri, che cosa ne pensa di Nüwa, il progetto recentemente diffuso dalla Mars Society?
Nüwa è una città sotterranea e l’idea di vivere su Marte o sulla Luna in località protette dalle radiazioni come grotte o caverne è molto interessante. Tuttavia, mentre per la Luna non ci sono problemi, per Marte ci sono impedimenti di tipo “legale”. Sulla Luna pare dimostrato non ci sia vita, mentre su Marte la possibilità che si siano sviluppati esseri viventi, naturalmente limitati a batteri o organismi molto elementari, è aperta e, anche se è un’eventualità molto remota, è possibile che siano sopravvissuti sinora. In tal caso possono essere migrati sotto terra, nelle caverne o negli interstizi tra le rocce, anche loro per proteggersi dalle radiazioni, dato che la superficie sembra sterile.
L’idea è quindi che, fino a quando non si sarà raggiunta la certezza che non esiste vita, tutto il sottosuolo del pianeta sarà dichiarato “zona speciale”, in cui la presenza umana è vietata e l’esplorazione sarà condotta soltanto con robot accuratamente sterilizzati, per evitare contaminazioni sia “in avanti” (contaminazione del pianeta da parte degli esseri umani), che “all’indietro”, contaminazione delle persone da parte del pianeta.
Ci sono alternative?
Personalmente preferisco soluzioni in cui vengono costruiti grandi edifici sulla superficie, che potrà essere dichiarata “zona normale” dopo aver dimostrato non ospiti esseri viventi. Per farlo occorrerà raccogliere dei campioni e studiarli sulla Terra, ben prima di inviare i primi astronauti (sono le cosiddette “Sample Return Missions”). Gli edifici, realizzati con stampanti 3D usando la regolite marziana, avranno pareti di grande spessore e potranno riparare dalle radiazioni almeno quanto abitazioni sotterranee, ma senza problemi di contaminazione biologica.
Il problema di edifici sotterranei o con pareti molto spesse che riparino dalle radiazioni è quello della difficoltà di avere finestre, necessarie anche dal punto di vista della salute psicologica degli astronauti, che costituiscono comunque punti da cui le radiazioni possono entrare nell’edificio. La stessa Nüwa ha finestre piccole e orientate verso il basso, da cui entra poca luce, anche considerando che Marte è alquanto lontano dal Sole.
La soluzione è usare finestre virtuali, grandi schermi collegati a telecamere esterne, che danno l’illusione di essere vere finestre. In un secondo tempo si potrà passare alla schermatura attiva dalle radiazioni mediante campi magnetici, che permetteranno di avere vere e proprie finestre o cupole trasparenti sotto cui si realizzeranno città sulla superficie, come sulla Terra.
Quanto potrebbe durare la prima missione umana destinata a sbarcare su Marte?
Abbiamo ipotizzato diverse fasi: dapprima una “missione zero”, con la stessa astronave deputata al trasporto degli astronauti, che però raggiungerà Marte in modo automatico e recupererà campioni per riportarli a Terra. Andata: otto mesi. Ritorno: dieci. In questo modo si proveranno tutte le tecniche e i veicoli spaziali.
Nelle missioni successive si sfrutteranno un veicolo di atterraggio e uno che resterà in orbita marziana, senza astronauti a bordo: tutti gli astronauti, infatti, scenderanno sul pianeta, perché non sarà più necessario, come ai tempi dell’Apollo, che qualcuno resti lassù, oltretutto per periodi lunghissimi. L’orbiter, ovviamente, opererà in modo autonomo.
Abbiamo poi previsto una prima missione, possibilmente per una permanenza di 40 giorni sulla superficie marziana, ma con un viaggio di ritorno molto lungo, di almeno dieci mesi. Quindi missioni con permanenze su Marte molto più durature, circa 500 giorni. Per motivi di allineamento planetario, non sono possibili vie di mezzo: o 30, 40 giorni oppure 500.
Quando potremmo vedere partire i primi pellegrini extra-planetari?
Un’ottima finestra di lancio sarebbe il 2037, ma pensiamo sia troppo presto. Ce n’è un’altra nel 2042, e questa è più probabile. Non bisogna dimenticare però che varie aziende private, come SpaceX, hanno dichiarato il loro interesse a compiere missioni umane su Marte, non solo con lo scopo di esplorare il pianeta, ma addirittura di colonizzarlo. Se questi programmi avranno un seguito concreto, i tempi potranno accorciarsi addirittura di una decina di anni.
Detto altrimenti, se tutto andasse per il meglio, il cantiere di Nüwa dovrà essere inaugurato ben prima del previsto. Avvertite O’Neill. E soprattutto Jenny ed Edward