Video e foto 360: la virtual reality cambia il modo di fare storytelling integrando emozioni e social media
Un po’ di storia recente. Mark Zuckerberg sale sul palco del Mobile World Congress 2016 durante la presentazione dei nuovi device Samsung e spiega: «Manca poco, la virtual reality permetterà l’integrazione delle più diverse tipologie di connessioni social, immaginate per esempio due amici che potranno incontrarsi anche se distanti migliaia di chilometri e trascorrere ore insieme come se fossero nello stesso ambiente. Presto tutti potremo vivere le stesse esperienze in uno spazio virtuale capace di annullare qualsiasi distanza». E se lo dice il presidente e CEO di Facebook che nel 2014 ha comprato per due miliardi di dollari Oculus Rift, i visori progettati e finanziati su Kickstarter dal ventiduenne Palmer Luckey, possiamo immaginare il futuro che ci aspetta.
Per la fotografia la rivoluzione è già in atto: non più foto statiche, ma scattate in formato 360 con dispositivi come la REAL 360 – dell’italianissima Virtualmind – in grado di produrre anche immersive video, Panono Camera Ball o 360Heroes di GoPro, sistemi capaci di realizzare immagini sferiche che riproducono un’immersione totale in un ambiente interno o esterno, con una risoluzione che permette lo zoom senza perdere di qualità. Cambia così anche l’esperienza di viaggio (ma le applicazioni sono assai di più) o di acquisto di un servizio. Pensate infatti di poter scegliere la camera di un hotel o di Airbnb, muovendosi al suo interno ma camminando dentro la stanza del vostro soggiorno. Oppure immaginate un tour 360 in uno showroom Ikea per poi condividerlo su Facebook e chiedere feedback agli amici prima di fare l’acquisto di una cucina.
Un esempio? Provate a guardare l’immagine qui sotto, navigando al suo interno con il mouse se la state visualizzando da computer, oppure muovendo in qualsiasi direzione lo schermo se avete in mano uno smartphone.
E i video 360? Cambieranno il brand storytelling, cioè come i brand comunicano la loro identità aumentando l’esperienza dei potenziali clienti attraverso una realtà più immersiva. Succede già con il news storytelling, per esempio come fa The New York Times per raccontare la corsa alle elezioni presidenziali tra Hillary Clinton, Donald Trump, Bernie Sanders e John Kasich. Come? Con un video 360 in cui i quattro candidati presentano le loro idee al pubblico riunito dentro uno spazio fisico. Ecco il punto, anche i lettori (meglio chiamarli mobile reader) possono far parte di quello spazio che è diventato virtuale. Bastano tre semplici passaggi: un Google Cardboard dal costo di pochi dollari, uno smartphone con l’app ufficiale per Android o iOS da chiudere all’interno del visore e il touch sul tasto play. Il pubblico può intuire le potenzialità della virtual reality anche muovendo lo smartphone o spostandosi con il mouse all’interno del video se la riproduzione avviene da un computer. Ma è chiaro che la user experience è molto più interattiva quando è collegata a un device per la virtual reality.
I campi d’applicazione? Potenzialmente infiniti, ma quelli che registreranno maggiori view saranno i video in cui la parte di entertainment è più forte. Quelli che raccontano un concerto o un evento sportivo, per esempio. Vedere l’esibizione di un pilota acrobatico dall’ala dell’aereo fa sentire lo spettatore parte dello show in maniera esclusiva. E se l’evento venisse trasmesso in diretta live? Visto che l’integrazione dei video 360 su Facebook è già possibile, immaginate di poter seguire lo spettacolo insieme al vostro cugino d’Australia, guardandolo in faccia dopo aver fatto tutti e due la scansione 3D del volto con una app per smartphone come Dacuda.
Tutto qui? No, soprattutto per le aziende che capiranno al volo come utilizzare la virtual reality digitalizzando lo spazio fisico di uno shop retail. Se il brand di moda Dior presenta già le collezioni primavera-estate 2016 con i video 360, portando fronte passerella chi non avrebbe mai accesso a un evento fashion esclusivo, potete scommetterci: presto molti altri brand ci porteranno dentro i loro flagship store. L’obiettivo? Farci conoscere un prodotto facendo leva sui data e sul proximity marketing, perché non faremo più shopping soltanto in un ambiente fisico ma in uno virtuale in cui il nostro profilo ci restituirà informazioni come taglie disponibili e fitting di giacche e maglioni dentro una virtual dressing room. Il pagamento? La nostra carta di credito sarà già precaricata, già oggi siamo in grado di pagare taxi, film o musica con un clic da smartphone. Insomma, ha ragione Zuckerberg: «Potremo vivere le stesse esperienze in uno spazio virtuale capace di annullare qualsiasi distanza».