Virtual influencer, chi sono e cosa fanno
Il suo volto ricorda vagamente quello Billie Elish, ha i capelli con meches colorate, occhi verdi piuttosto ipnotici, fisico atletico ma non appariscente e un’età presunta tra 18 e i 25 anni. Essendo una protagonista della generazione Z è anche attenta ai temi che coinvolgono i giovani: diversity, body positivity e sostenibilità.
Si chiama Zaira, è un’influencer seguita quasi da 100 mila persone ma nella realtà non esiste. È un personaggio inventato. Lei come molti altri profili sui social sono costruiti a tavolino da aziende specializzate in marketing digitale come Buzzoole che ha dato vita proprio a questa figura tutta italiana.
“Computer graphics, meta-mondo valoriale, storytelling. Sono questi gli elementi che determinano l’eco-sistema della nostra meta influencer”, dice Gianluca Perrelli, CEO di Buzzoole. “Un progetto ambizioso, al quale abbiamo lavorato per diversi mesi e che sta già riscontrando l’interesse di nuovi partner e clienti per la creazione e lo sviluppo di nuove sinergie e progetti. I virtual influencer, infatti, possono creare empatia al pari di personaggi reali, se riescono a raccontare storie credibili e a stimolare la curiosità del proprio pubblico”.
Il fenomeno, quello dei personaggi trendsetter virtuali che sta crescendo in modo robusto in questi ultimi anni, ha avuto diversi antesignani in tempi remoti. Negli anni Trenta toccò al famoso manichino Cynthia creato dal designer Lester Gaba, ma qualcuno si ricorderà anche Max Headroom che era addirittura protagonista di una serie TV di successo negli anni ’80.
Bisogna arrivare però al 2016 per incontrare il prototipo più riuscito e credibile dell’influencer virtuale Lil’ Miquela Sousa. Metà portoghese, metà spagnola, è stata la prima ad aprire un profilo ufficiale su Instagram (@lilmiquela) che oggi conta oltre 3 milioni di follower. Una popolarità che si è tradotta in importanti contratti di sponsorizzazioni con brand di primo piano da Gucci a Prada ma anche Samsung e Diesel. Sembra che per ogni pubblicazione con il suo volto sui social media guadagni 7 mila dollari.
L’elenco si allunga di giorno in giorno. C’è Aye Aileen influencer virtuale thailandese creata da SIA, agenzia specializzata di Bangkok, @noonoouri è invece gestita direttamente da Vogue China mentre la coreana Rozy (@rozy.gram) sviluppata dalla società Sidus Studio nel 2021 ha incassato 1 milione di dollari di campagne pubblicitarie. Tra i nomi più popolari ci sono anche @imma.gram, @shudu.gram, Ruby Gloom e Ayaya.
Alcuni personaggi come Knox Frost, giovane virtual influencer americano, è stato utilizzato persino dall’Organizzazione mondiale della sanità durante la pandemia per diffondere messaggi informativi sul coronavirus. Inoltre sono gli stessi brand a creare un profilo in grado di incarnare al meglio i valori dell’azienda, come ha fatto Yoox con la sua Daisy o Puma con Maya. Kentucky Fried Chicken ha persino resuscitato il mitico colonnello Sanders, il volto iconico della catena di fast food, con un alter ego virtuale.
Ma ha senso seguire questi personaggi? Che vantaggi offrono? Ai ragazzi piacciono perché suscitano molti meno sentimenti negativi come l’invidia e secondo una ricerca di HypeAuditor, i virtual influencer funzionano spesso meglio degli umani, hanno cioè tassi di engagement rate e un influencing value più alti rispetto ai rivali in carne e ossa.
Gestire questi personaggi poi costa molto meno, non devono viaggiare, non hanno esigenze particolari né richieste bizzarre e possono “lavorare” 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Infine, aspetto non banale, i loro comportamenti, il loro stile, le loro discussioni sono controllabili in modo preciso e puntuale.
Se a questo si aggiunge l’interesse crescente per gli ambienti virtuali, soprattutto per i metaversi, ben si intuisce il potenziale di questi personaggi digitali. Un business ricco e globale che, stando ai dati di Bloomberg Intelligence potrebbe arrivare a valere 800 miliardi di dollari già entro il 2024.