Ti suonano alla porta alle 21 e salti sulla sedia? Capita. Ma domani potresti aprire con un social sorriso
Quando otto mesi fa ho iniziato quest’avventura, un po’ per caso, un po’ per gioco, un po’ per sfida, non avrei mai immaginato che il Social Street nel giro di poco tempo diventasse virale a livello mondiale e caso di studio scientifico da parte di molte Università. Era la prima domenica di settembre del 2013, abitavo in Via Fondazza nel centro di Bologna da quasi tre anni. Una strada nota, dove viveva il pittore Giorgio Morandi, la strada dove è stato ambientato il celebre romanzo di John Grisham The Broker, che oggi è diventata ancora più nota come prima Social Street al mondo. Quella domenica passeggiavo con mia moglie e mio figlio di due anni sotto il porticato e ci chiedevamo se abitassero altri bambini nella via con cui farlo giocare. Possibile che in tre anni non conoscessi proprio nessuno della strada? Al massimo qualche buongiorno e buonasera ma non si andava oltre.
Io sono nato in un piccolo paese della provincia di Lucca, Altopascio. Nella mia strada ci si conosceva tutti: se finivi il sale alle nove di sera, era normale andare dal vicino a chiederlo. In città le cose non stanno così. Se alle nove di sera ti suonano alla porta, salti sulla sedia dallo spavento. In città ormai siamo abituati a correre da una parte all’altra come tanti automi, facendo gli stessi percorsi, nell’anonimato.
Come entrare in contatto con i vicini di casa senza investire soldi, senza creare l’ennesima applicazione? Utilizzando quello che la tecnologia mette a disposizione, Facebook. Ho così creato un gruppo chiuso “residenti in Via Fondazza – Bologna – Social Street” e ho attaccato dei volantini nella strada. La risposta è stata stupefacente, più di novanta persone in tre settimane. Novanta persone che avevano risposto alla mia richiesta di socialità, di conoscere chi vive vicino alla tua porta, perché questo è l’obiettivo delle Social Street. Il gruppo cresceva giorno dopo giorno, persone che fino a ieri non si conoscevano, pur abitando a pochi metri di distanza, iniziavano a entrare in contatto grazie a Facebook. Paradossale che uno strumento che di solito mette in contatto persone che abitano lontano stavolta sia servito per unire persone che abitano vicino. Sono iniziate le prime interazioni, i primi incontri nella piazza vicino, le persone hanno iniziato a usare il gruppo per aiuti reciproci, consigli, condivisioni, come in una piccola comunità.
«Ciao, abito al 29, siamo due studentesse, avremmo da montare una mensola ma non abbiamo il trapano e ci sembra ridicolo comprarne uno per usarlo una volta, qualcuno ce lo può prestare?». Risposta: «Ciao, sono al 32, non c’è problema, stasera appena rientro a casa faccio un salto con il trapano e vi aiuto a montare la mensola. Piacere di conoscervi». Ogni giorno le interazioni hanno iniziato ad aumentare, chi aveva il frigo da dar via e ha preferito darlo al vicino di casa piuttosto che usare eBay e vendere a sconosciuti, chi semplicemente si era trasferito da poco in città e non sapeva quale medico di famiglia scegliere… perché usare Pagine Gialle o Google se hai un vicino che ti ospita per un aperitivo di benvenuto e ti può dare queste informazioni?
Su questo modello di socialità disinteressata, i gruppi sono nati come funghi. Oggi, dopo 11 mesi, le strade in Italia che hanno aderito alla filosofia Social Street sono 290 con più di 15.000 persone coinvolte e il fenomeno si sta espandendo all’estero, dove si contano già una ventina di Social Street in Portogallo, una in Nuova Zelanda, una in Croazia e una in Brasile. Dietro al Social Street non ci sono interessi economici, politici, religiosi, c’è solo il desiderio di socializzare, una sorta di “acceleratore di fiducia” fra i vicini perché se si riesce a rafforzare i legami sociali nella strada, le potenzialità sono illimitate. Ecco che nelle varie strade d’Italia stanno nascendo progetti per riappropriarsi dei beni comuni.
Si iniziano a creare task force per gestire parchi pubblici spesso abbandonati al degrado urbano, piantare girasoli e palme nelle aiuole incolte, auto-organizzare la pulizia della strada, costruire librerie di strada ma anche più semplicemente si organizzano gruppi trekking, si trova ciò che unisce e si lavora su quello, partendo quindi dal basso. Le mamme della strada si conoscono, nascono progetti, iniziative come quella del Mummy cinema, la possibilità di andare al cinema con i neonati per vedere finalmente un film da adulti senza dover spendere i soldi per una babysitter. Social Street sta diventando un bell’esempio di cittadinanza attiva, stiamo lavorando alla creazione del network fra le varie strade per creare condivisione, per facilitare i percorsi diffondendo le best practice di ogni strada. Non sarebbe fantastico se tutte le strade d’Italia diventassero delle Social Street? Forse per cambiare il mondo si può iniziare cambiando il modo di vivere nella propria strada, questo è l’obiettivo del Social Street.