«Time to stay disruptive»
Stay hungry, stay foolish è il testamento di Steve Jobs. Con il dovuto rispetto, è forse venuto il momento di aggiungere stay disruptive se vogliamo avere una chance di venire a capo della più grande emergenza che l’umanità abbia mai affrontato. Del resto lo diceva anche Einstein che non si può risolvere un problema con gli stessi schemi che l’hanno prodotto e di schemi ne sapeva qualcosa. Le innovazioni incrementali che mantengono il contesto inalterato non bastano più, servono innovazioni radicali che lo destabilizzino, lo “distruggano” e poi ricostruiscano.
L’emergenza è il climate change, ovvio. Il clima andrà fuori controllo se non cominciamo a fare qualcosa seriamente, molto seriamente. E in fretta, molto in fretta. La lotta al climate change è una guerra e combatterla impone una disruption: non emendare qua e là il modello di sviluppo ma sconvolgerlo dalle fondamenta.
Non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese, sono fra le parole più citate di JFK. Parafrasandole anche qui col dovuto rispetto, si dovrebbe ora dire: non chiederti perché lo Stato non sta facendo abbastanza per (difendere) te (dai cambiamenti climatici), chiediti cosa puoi fare tu per obbligarlo a fare di più. Ed è proprio quello che sta avvenendo in varie parti del mondo.
Provate per esempio a digitare l’hashtag #Laffairedusiecle – che già da solo dice molto – sui social network, cercatelo su Twitter. Incontrerete un fiume di persone che hanno deciso di sostenere l’azione di alcune organizzazioni che stanno cercando di portare “alla sbarra” lo Stato francese. Perché sostengono che non ha fatto abbastanza nella lotta al climate change, non ha assolto il proprio dovere di proteggere i cittadini e i loro diritti essenziali. Oltre due milioni di persone hanno già dato il loro sostegno all’iniziativa e si punta ai tre milioni.
Qualcosa di molto simile sta accadendo in Irlanda, in Olanda, negli Stati Uniti. Non è lo Stato che impone ai cittadini il rispetto delle leggi, accade l’opposto: i cittadini chiedono, pretendono che lo Stato sia obbligato a rispettare… sé stesso, facendo ciò che lo Stato si è obbligato a fare. Ma se lo Stato non obbliga lo Stato a rendere conto, chi lo deve fare? La risposta è: i cittadini. Tu. Io. Noi. In particolare i giovani, che hanno più futuro davanti a sé.
Gli studenti universitari francesi mesi fa, dopo il rapporto di IPCC (il Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite) che ha suonato l’ennesimo allarme sul climate change, hanno stilato e sottoscritto a migliaia il Manifesto studentesco per un risveglio ecologico. Dove spiegano che non ha alcun senso dirsi preoccupati del climate change e allo stesso tempo lavorare per imprese che con la loro attività sono fra le cause del climate change: richiesta di coerenza disruptive per un modello che si regge su incongruenze solari.
Anche nel mondo degli investimenti prendono piede iniziative disruptive. Se è sbagliato distruggere il pianeta, è sbagliato guadagnare da quella distruzione, afferma il movimento internazionale, diffuso anche in Italia, che chiede di porre fine agli investimenti nelle fonti fossili di energia e di spostarli sulle rinnovabili. Riguarda da vicino, ancora, gli Stati: come si tiene che molti Stati sono coinvolti in modo diretto e significativo nella proprietà di imprese multinazionali che sono fra i maggiori responsabili delle emissioni di Co2 e allo stesso tempo dichiarano di essere impegnati contro il climate change? A logica non può tenersi. Stay disruptive: l’Irlanda l’anno scorso è stata il primo Paese al mondo ad approvare una legge per il disinvestimento dalle fonti fossili.
Attenzione, però, perché stay disruptive non vuol dire per forza fare qualcosa che non è mai stato tentato. In qualche caso significa recuperare ciò che si faceva in passato ed è stato dimenticato. Negli Stati Uniti si discute di un Green New Deal per accelerare la transizione ecologica del modello di sviluppo. E del suo finanziamento attraverso l’innalzamento delle tasse fino al 70% per i più ricchi. Assurdo? Irrealizzabile? Ingiusto? Guardando la storia, neanche troppo remota, si scopre che quei livelli di tassazione erano la norma fino a solo pochi decenni fa e che negli anni ’50 (con il repubblicano Eisenhower alla Casa bianca) erano anche più alti.
Attenzione, anche, alle parole. Che sono, sempre, importanti. È corretto parlare di cambiamento climatico? Cambiamento significa qualcosa di fisiologico, che si evolve, muta, ma in un contesto che rimane in sostanza identico. In questo caso però non è così: i temuti cambiamenti nei futuri equilibri climatici del pianeta non hanno nulla di fisiologico, si rischia di portare il pianeta su terreni mai esplorati, almeno dalla specie umana. Smettiamola allora di parlare di cambiamento, parliamo di crisi climatica. Da affrontare c’è una crisi, non un cambiamento, ed è molto più grave. Parole da “distruggere” e ricostruire.
Sono almeno dieci anni che Al Gore, ex-vice presidente degli Stati Uniti, oggi settantenne, famoso in tutto il mondo per il suo impegno sul fronte della lotta al climate change, afferma che il tempo delle mezze misure è finito. Alla Cop24 di Katowice è stato Al Gore a chiedere a Greta Thunberg un incontro. È vero, anche la ragazza svedese che ha dato il via al movimento del climate strike oggi è conosciuta in tutto il mondo. Ma si tratta pur sempre di una ragazza di sedici anni che, com’è del tutto normale, fino a solo pochi mesi fa era sconosciuta al mondo, con una vita distante anni luce da un personaggio come Al Gore. Che ora, invece, le chiede un incontro. Qualche regola sta cambiando? Devono cambiarne tante e soprattutto in fretta. Non bisogna solo chiederlo, bisogna pretenderlo. Non c’è altra via: stay disruptive.