Terre rare, il maxi-giacimento svedese cambierà davvero la partita fra Cina ed Europa?
Forse sì, ma lo vedremo fra parecchi anni. E rimangono da capire alcuni elementi che influenzano la profittabilità del sito scandinavo. Senza dimenticare le scorie tossiche della raffinazione dei metalli pesanti così centrali per la transizione green.
Per alcuni si è fatto tanto rumore non per nulla ma senz’altro per poco. Per altri, invece, la scoperta del maxi-giacimento di terre rare nella regione di Kiruna, nell’estremo Nord svedese, è destinata a cambiare nel medio-lungo periodo alcuni equilibri geopolitici. A qualche settimana dall’annuncio, e dunque a mente più fredda, chi ha ragione?
Il gruppo minerario statale Lkab ha spiegato che si tratta del “più grande deposito conosciuto in questa parte di mondo”, cioè sul continente europeo. E intorno a questi 17 elementi della tavola periodica dai nomi talvolta bizzarri – i cosiddetti “rare earth elements” – si gioca un pezzo della partita tra Cina e Occidente nell’ambito dell’elettronica di consumo, delle applicazioni industriali e nella riduzione dei consumi (se si considera l’impiego di alcune nella produzione di batterie e dei magneti permanenti per l’automotive, l’eolico e molti altri settori).
Cosa sono le terre rare?
Le terre sono in realtà relativamente rare: questi metalli pesanti, dal lantanio al tulio, dall’itterbio (scoperto proprio da un chimico svedese) al neodimio, impiegatissimo appunto nei magneti permanenti anche detti supermagneti, si trovano in realtà in modo abbastanza diffuso. A fare la differenza è la loro concentrazione: la loro estrazione è dunque complicata più dalla modalità in cui vengono scoperti, da come sono ripartiti nei singoli concentrati, che dalla loro effettiva rarità. Insomma la concentrazione dev’essere tale, e sufficientemente diversiticata, da rendere l’impresa profittevole. “Senza miniere, non ci possono essere veicoli elettrici” ha spiegato Jan Monstrom, CEO della società svedese Lkab, alludendo alla centralità di materie prime preziose come queste anche per la transizione energetica.
Le terre rare si trovano infatti non solo all’interno di gadget come gli smartphone, nei display touch, negli hard disk, nelle lampade, ma anche in fibre ottiche e laser, in numerosi apparati medicali e nelle batterie per le auto e gli altri mezzi elettrici. E appunto nei magneti permanenti, nella sensoristica elettrica e come spiega Iren nei “convertitori catalitici, indispensabili per la produzione di tecnologie green come turbine eoliche e pannelli fotovoltaici”.
Il primato della Cina nelle terre rare, dalle riserve alla lavorazione
Il quadro generale dice che le miniere attive di terre rare, che in realtà si trovano all’interno di altri giacimenti come quelli di monazite o di argille ioniche e di cui costituiscono solo una piccola parte delle risorse, sono concentrate soprattutto in Cina (circa il 60% della produzione e un terzo delle riserve mondiali con 44 milioni di tonnellate cubiche), poi negli Stati Uniti (16%), in Australia (12%) e in Myanmar. Come anticipato in Europa non se ne contavano fino all’annuncio svedese. Un giacimento che però prevede un iter molto lungo prima di poter effettivamente entrare in funzione, sempre che altri dati ne consolidino la profittabilità, e quindi la capacità di poter iniziare a fare la differenza nel nostro rapporto di fornitura con la Repubblica popolare.
Nel nuovo sito europeo il minerale ospitante è la monazite, a sua volta individuata all’interno di un altro giacimento di apatite e ferro. Quanto agli ossidi di terre rare, ce ne sarebbe una concentrazione da un milione di tonnellate – buona in linea teorica per rispondere al fabbisogno quasi totale della richiesta europea – e il fatto che siano presenti in due diversi minerali per un totale di 585 milioni di tonnellate potrebbe rendere più conveniente l’estrazione. Anche se tutto va ovviamente visto in prospettiva. La richiesta di questi metalli pesanti aumenterà infatti esponenzialmente nei prossimi anni e anche un giacimento che pare promettente potrebbe, in base a ritmi di crescita della domanda, risultare solo parzialmente risolutivo della dipendenza cinese.
Cosa rimane da chiarire sul maxi-giacimento svedese
Se gli scettici hanno dunque ragione nel sottolineare che dobbiamo fra l’altro ancora capire la porzione di terre rare sfruttabili e quali siano nel dettaglio, per comprendere se davvero si tratti di un sito game changer nello scacchiere globale, è altrettanto vero che le autorità non si sarebbero spese in un annuncio tanto celebrato. A servirci, più degli altri metalli, sono soprattutto neodimio, praseodimio, disprosio e terbio: quanti ce ne sono, in percentuale, in quel giacimento? Ancora non lo sappiamo. E poi, problema non secondario: in quali siti separeremo, raffineremo e trasformeremo quei materiali grezzi in metalli veri e propri? Anche questa è un’attività a sostanziale monopolio cinese, con tutte le conseguenze del caso sui prezzi, le esportazioni, le mosse geopolitiche giocate su scala mondiale dall’apparato comunista.
Il peso ambientale delle terre rare
A quanto pare i primi passi sono già stati fatti, e questo spiega anche l’invito della dirigenza di Lkab alle autorità europee di Bruxelles. Il gruppo ha infatti acquisito mesi fa la Reetec AS che dovrebbe appunto occuparsi, almeno in parte, della raffinazione dei concentrati di terre rare con un impianto che potrebbe andare a regime nel giro di tre-quattro anni.
Anche questo è un aspetto importante e che dimostra come la strategia svedese sia già piuttosto avanzata nonostante gli stadi preliminari del giacimento: col solito cortocircuito per cui, nel percorso green, non esistono soluzioni senza effetti collaterali. Raffinare i concentrati di terre rare è infatti molto inquinante. Il materiale passa attraverso una serie di procedure che coinvolgono filtraggi e stadi acidi e producono quindi quantità importanti di scarti tossici. Per lavorare una tonnellata di metalli delle terre rare si generano circa 2mila tonnellate di rifiuti di questo tipo. Reetec promette una nuova tecnologia, più pulita e sostenibile, di raffinazione. La partita è insomma lunga e complessa per fare in modo che quei materiali, fondamentali per un futuro green, non siano a loro volta parte di una partita nascosta e pur sempre estremamente inquinante.