Spazio per la Terra
Nei dati da satellite c’è tutto. O quasi.
Ci sono il meteo, la navigazione, il clima, la salute, le risposte alle emergenze e tante, tantissime opportunità di business, che puntano a stravolgere dall’agricoltura alle analisi economiche su larga scala.
Simonetta Cheli, che dal primo gennaio 2022 è la direttrice dei programmi di Osservazione della Terra dell’Agenzia spaziale europea. Ci racconta la sua visione: lo spazio al servizio del cittadino.
Quasi un terzo del budget Esa è dedicato al suo settore, quello dei satelliti in orbita terrestre che monitorano il Pianeta, ci aiutano a prevenire disastri e ad arginare gli effetti del climate change. Ma tra i temi più interessanti, c’è anche l’integrazione dell’investimento pubblico con le iniziative private. Da trent’anni all’Esa, Simonetta Cheli ha studiato Diritto ed Economia all’Università di Yale, laureata in Scienze politiche con specializzazione in Diritto internazionale all’Università “Cesare Alfieri” di Firenze, con una tesi sul diritto delle telecomunicazioni spaziali. Racconta come la sua esperienza in relazioni internazionali sia stata determinante nell’ottenere l’incarico e quanto sarà fondamentale per gestire le collaborazioni dell’Agenzia con i partner globali e istituzionali, in primis Commissione europea ed Eumetsat.
Cheli si aspettava la nomina?
Ci speravo ma non era una cosa scontata. Anche se lavoro da trent’anni all’Esa e da 15 anni all’Osservazione della Terra come braccio destro dell’attuale direttore generale (Joseph Aschbacher ndr), quando ho fatto la domanda mi trovavo assieme ad altri 100 candidati, forse di più. È una decisione che concerne i 22 Paesi membri dell’Agenzia, bisogna combinare l’expertise, la professionalità, la competenza manageriale, ma anche un supporto politico nella decisione finale.
Che cosa crede abbia reso la sua candidatura vincente?
Da una parte, il fatto di aver lavorato in Esa per trent’anni e di conoscere bene le dinamiche dell’Agenzia, i rapporti tra l’Esa e l’Unione europea. Conosco il modo di lavorare, le dinamiche tra i Paesi per garantire la preparazione dei programmi e portare a buon fine le attività.
Nel settore più specifico, credo abbia pesato il lavoro svolto con Eumetsat, con la Commissione europea, ma anche con l’industria e con il mondo scientifico. Ho cominciato con Galileo e la Stazione spaziale internazionale. In più immagino siano state significative anche molte esperienze e molte collaborazioni con partner internazionali. Perché la collaborazione, su temi come il clima e l’ambiente, è cruciale.
L’Italia lamentava un livello di rappresentanza istituzionale non pari alla sua autorevolezza industriale. Mentre per alcuni la sua nomina potrebbe sistemare la questione, qualche scettico suggerisce che, proprio per la sua vicinanza all’attuale direttore generale, si darà precedenza a Francia e Germania. Che cosa risponde a entrambe queste considerazioni?
Rispondo che la mia nomina, in un ambito cruciale delle attività spaziali come l’Osservazione della Terra, è un riconoscimento del ruolo di altissima importanza dell’Italia nel contesto spaziale, perché il nostro Paese è il terzo contributore dell’Esa.
Il centro dell’Agenzia, all’Esrin di Frascati, per l’Osservazione della Terra, è un riferimento a livello europeo e mondiale. Questo mi sembra importante, indipendentemente da me come persona. Credo che aver collaborato con l’attuale direttore generale per 15 anni non sia stato un punto a mio svantaggio, perché, se ho una competenza, è quella di saper lavorare con tutti i Paesi europei, però sentendomi sempre italiana. Sono stata 16 anni a Frascati e mi occupavo, tra le altre cose, dei rapporti istituzionali e dei rapporti con il mondo della ricerca accademica e industriale.
Quest’anno è anche arrivata la decisione di tenere l’Iac, l’International Astronautical Congress, a Milano; non è poca cosa.
Non è poco, ma c’è molto altro. Malgrado la pandemia, l’Esa è riuscita a portare avanti molti contratti sui satelliti, come per esempio le Sentinelle della famiglia Copernicus; alcuni coinvolgono industrie italiane importanti come prime contractor.
Milano aveva già una forte tradizione di attività nel settore spaziale, a partire dall’Expo 2015; la pre-Cop, nel 2021, si è tenuta a Milano lo scorso ottobre, ha coinvolto il nostro astronauta Luca Parmitano e diverse iniziative legate allo spazio, in collaborazione con il Museo della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci”. Come Esa, nel 2019 abbiamo organizzato il “Living Planet Symposium”, il più grande convegno scientifico mondiale sul tema ambiente e clima. Saremo presenti alla Triennale nel 2022, sempre a Milano. Insomma, saranno moltissime le opportunità e le occasioni di eventi “non spaziali” in cui lo spazio potrà essere presente.
Quante risorse attrae l’Osservazione della Terra rispetto al budget complessivo dell’Esa?
Quasi il 30 per cento. È la frazione più importante in termine di volume di spesa e di attività programmatiche.
E qual è la loro importanza per la vita di tutti i giorni qui, sulla Terra?
Credo che oggi non ci si renda conto di quanto lo spazio sia parte della nostra vita quotidiana: è un settore anche legato al clima e ai disastri. La sera guardiamo le immagini meteo alla tv, ormai anche sul telefono, lo stato dei venti se andiamo in barca a vela nel weekend. Eppure l’Agenzia europea dell’ambiente ci dice che ci sono 400mila morti all’anno dovute alla cattiva qualità dell’aria. Che cosa significa? Che tutto quello che è legato allo stato del nostro Pianeta tocca ognuno di noi, non solo gli scienziati.
Una delle priorità politiche nel contesto europeo è il Green Deal, la decarbonizzazione dell’Europa da raggiungere entro 2050, a seguito dell’implementazione di accordi come quello di Parigi del 2021, ma anche della Cop 26 di Glasgow. Abbiamo visto questa estate i fuochi in Grecia, in Canada, le inondazioni in Germania. Un trend purtroppo di peggioramento.
Lei è appena entrata in carica; quali sono i primi temi che affronterà, le priorità dal punto di vista strategico?
Il primo riguarda un summit con i capi di stato organizzato dalla presidenza francese il 16 febbraio 2022, a Tolosa, dove si parlerà di acceleratori, nuove iniziative di lunga durata e di grande dimensione politico-strategica. Non si tratterà di soldi, ma si valideranno a livello politico le nuove iniziative, una di queste sul contributo spaziale al green future.
L’altro tema importante sarà la preparazione della Ministeriale Esa del 2022, che si terrà a fine novembre. Si parlerà di una serie di proposte legate all’Osservazione della Terra, attività nell’ordine di 2,5-3 miliardi di finanziamento per i prossimi anni, con nuovi satelliti e nuove iniziative. Occorre trovare il supporto e garantire il contributo dei Paesi. Oltre a questo, lavorerò per stabilizzare i team del settore dell’Osservazione della Terra, dove c’è una fortissima capacità di gestione progettuale e di expertise.
Quali sono invece gli obiettivi a lungo termine?
Ho fatto parte del team di drafting dell’Agenda 2025, il piano di lavoro che riguarda il futuro fino al 2025, ma con una visione estesa al decennio successivo. Lavorerò per consolidare quello che è già considerato un grande successo in termini di infrastruttura con l’Ue: il programma Copernicus. Abbiamo otto satelliti Sentinel in operazione, ma è necessario garantire che i fondi vengano stanziati e i nuovi satelliti lanciati.
L’altro obbiettivo è integrare con l’investimento pubblico tradizionale nell’Osservazione della Terra le tantissime iniziative commerciali, perché vediamo nascere nuove costellazioni satellitari private. È necessario, per l’Esa, aiutarle ad accedere al venture capital, a opportunità di lancio meno costose, definire processi decisionali più rapidi per garantire la competitività.
Un altro aspetto cruciale è l’enorme volume di dati, i big data, che devono essere fruibili da tutti grazie all’integrazione con tecnologie non tradizionalmente spaziali, come machine learning e intelligenza artificiale. Abbiamo un progetto molto bello, si chiama Digital Twin Earth, Gemello digitale della Terra: l’idea è usare l’IA per integrare grossi volumi di dati satellitari, studiare lo stato attuale del nostro Pianeta, ma anche avere delle previsioni rispetto alle evoluzioni sul clima e su altre tematiche come i disastri naturali. Ci sono molte sfide, ma sono appassionanti.
Oggi l’Europa primeggia a livello globale nel settore dell’Osservazione della Terra.
È un modello di riferimento per tutti i partner, anche americani e giapponesi, sia in termini di interesse nell’utilizzo dei dati (free and open) che per quanto concerne il modello di collaborazione e governance fra le istituzioni. L’Europa ha forse il sistema più completo di satelliti a disposizione: tre linee, quelli scientifici (Earth Explorer), le Sentinelle che hanno valenza operativa, e i satelliti meteo. Gestiti da Esa insieme con la Commissione ed Eumetsat, sono 16 già operativi e 39 in fase di sviluppo.
Tutto questo significa anche business.
Questo è un punto molto interessante. Per il 2020, l’Earsc (l’Associazione europea delle aziende di remote sensing, ndr) ha calcolato il valore economico totale del settore dell’Osservazione della Terra: è stimato in 1,71 miliardi di euro. La crescita media del mercato del valore aggiunto e dei servizi che usano questi dati è del 10-12 percento, anche come previsione per i prossimi anni. Oggi si usa il satellite per razionalizzare e ridurre l’uso dei pesticidi in agricoltura, per conoscere l’umidità del suolo e sapere quando vendemmiare. Servono, purtroppo, anche per i disastri naturali. Per esempio nell’eruzione del vulcano di La Palma, per vedere dove le case sono state distrutte, dove non c’è più una strada, e calcolare i danni.
Perché, nonostante il monitoraggio che svolgiamo da anni, non siamo ancora in grado di prevenire tutti i grandi disastri?
Perché ci sono elementi che non controlliamo. Una cosa che vedremo ancora meglio dall’anno prossimo, quando lanceremo Mtg (Meteosat Third Generation, ndr), sono per esempio gli uragani.
Oggi non possiamo dire di poter predire un terremoto o un’eruzione vulcanica, abbiamo però sistemi sempre più avanzati, sofisticati e precisi per contribuire a una previsione. Possiamo vedere un movimento millimetrico del terreno, grazie all’interferometria basata sui dati radar, tecnologia sviluppata inizialmente in Italia al Politecnico di Milano. L’Etna ha dei sensori monitorati permanentemente da satellite, vediamo come si gonfia, respira, come si muove. Ma tra questo e prevedere la prossima eruzione manca ancora un pezzo.
Qual è stato il contributo dello spazio nella gestione dell’emergenza pandemica?
Nelle prime settimane della crisi, nel 2020, abbiamo messo insieme in pochissimo tempo Rapid Action on Covid and Earth Observation, un’interfaccia web resa disponibile a tutti, con informazioni su 200 siti in Europa, di tipo economico, ambientale e agricolo. Siti strategici come il porto di Genova o l’aeroporto di Orly. Da satellite abbiamo visto la riduzione del diossido di azoto del 40-50 per cento sulle città europee, legata alla riduzione del traffico e dell’attività industriale. Nella zona di Venezia, la riduzione del numero delle navi e delle barche, del 95 per cento, correlata a un impatto economico sul turismo di circa 400 milioni in meno. E si è visto anche l’impatto sulla qualità dell’acqua. Si sono visti i ritardi della raccolta delle fragole in Spagna, o degli asparagi in Germania, causati dalla mancanza degli operai transfrontalieri. Abbiamo visto gli aerei a terra. Ha avuto un grande successo e adesso viene continuata e allargata alla collaborazione con Nasa e Jaxa (l’Agenzia spaziale giapponese) con siti a livello mondiale.
Qualcuno ancora dice “invece di parlare di spazio, perché non ci occupiamo della Terra”?
A questo posso rispondere facilmente, perché lo spazio parla di Terra; non solo ci dice in che stato è oggi il nostro Pianeta, ma ci aiuta a prevedere in che stato sarà, ci aiuta a preservarlo per i nostri figli e nipoti. Occuparsi di spazio oggi significa aver cura del nostro Pianeta domani.