Separa tempo libero e tempo lavorativo (anche con il virus)
Già con la digital transformation il tempo di vita e il tempo di lavoro si erano mescolati grazie alle nuove tecnologie. Ora, con l’esperienza del Coronavirus, tutto questo è stato portato alla massima estensione. Viene facile domandarsi, quindi, come cambierà il concetto del tempo per le persone, quali riflessi ci saranno sulla loro vita personale e professionale e quale sarà la nuova identità del lavoro in futuro. In un loro articolo per l’HBR, Laura M. Giurge e Kaitlin Woolley riferiscono che l’attuale crisi da Covid19 e la conseguente esigenza di lavorare da casa, ha accentuato, aggravandola, una situazione che già nel 2018 era emersa, e cioè che il 30% dei dipendenti lavora nei fine settimana e nei giorni festivi. Il lavoro da casa, quindi, ha assottigliato ancora di più i già flebili confini tra tempo lavorativo e non senza generare un conflitto interiore nelle persone. Lo smart working è stato pensato perché la flessibilità aumentasse la motivazione, perché le persone fossero in grado di autoprogrammarsi il lavoro massimizzando la produttività, invece a farne le spese è proprio la motivazione personale. Le persone infatti si sentono intrinsecamente motivate quando si impegnano in attività che trovano interessanti, divertenti e significative, ma i dati della ricerca mostrano che lavorare nel tempo libero crea conflitti interni tra il perseguimento di obiettivi personali e professionali, portando le persone a “godersi” meno il proprio lavoro.
Una soluzione potrebbe essere quella di dare un significato diverso alle definizioni di tempo libero e di orario di lavoro, ma questo è un passaggio che forse non tutti sono pronti a fare, perché equivarrebbe a superare il conflitto tra aspettative e realtà.
«Nella nostra esperienza, lo smart working in Italia continua a scontrarsi con un equivoco di fondo: parlare di lavoro agile non significa discutere di cartellini e orari di lavoro, ma di organizzazione aziendale, trasformazione digitale dei processi, sistemi di valutazione e, in ultima analisi, cultura aziendale. — ha commentato Arianna Visentini, fondatrice insieme a Stefania Cazzarolli di Variazioni e coautrice del libro Smart working mai più senza — Si tratta, di fatto, di un abilitatore dell’innovazione, di una piattaforma win-win capace di generare valore per l’azienda e per le persone. Resistere all’innovazione, in questo senso, equivale a generare costi materiali e immateriali, sia per l’azienda che per le persone».
Anche le organizzazioni dunque, nel fare un passaggio necessario sul significato che si dà alla parola smart working, devono mettere i dipendenti nelle condizioni di sentirsi soddisfatti e motivati del loro tempo lavoro e del loro tempo libero che, inevitabilmente, influisce su tutta la produttività. Un lavoratore a tempo pieno nell’OCSE dedica, in media, il 63% della giornata, o 15 ore, alla cura personale (mangiare, dormire, ecc.) e al tempo libero (socializzare con amici e familiari, hobby, giochi, utilizzo di computer e televisione, ecc.).
Dal work-life balance, l’equilibrio tra orario di lavoro e tempo libero, si passa al cosiddetto work-life blend, venendo meno al diritto di essere disconnessi durante le ore di non lavoro. L’indagine del Randstad Workmonitor condotta in 34 Paesi ci dice che il 71% dei lavoratori italiani risponde a telefonate, email e messaggi di lavoro anche al di fuori dell’orario. Siamo al terzo posto in Europa, +6% rispetto alla media globale, e nel Vecchio Continente solo Portogallo e Romania sono più solleciti di noi.
Equilibrio, dunque, è ciò a cui bisogna tendere per non perpetuare una vita lavorativa e privata stressati e sotto pressione.