La scuola è futuro, soprattutto se unisce il fare alla conoscenza
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Lo conosciamo tutti quel vecchio detto, che ancora oggi sentiamo echeggiare ogni volta che qualcuno punta il dito contro chi insegna una professione o una materia senza praticarla: chi sa fa, chi non sa lontano non va. Come tutti gli adagi popolari, anche questo sembra avere in sé una buona dose di verità, ma le cose stanno diversamente.
È di tutta evidenza, anche in termini statistici, che nello sconfinato universo della formazione ci siano sacche di impreparazione, di mediocrità o addirittura di cialtronaggine, ma nell’era della rete, dei social media e del personal branding chi non merita di svolgere un’attività o un lavoro non ha vita lunga (a parte rari casi, che quando vengono alla luce sconfinano spesso nel penale) ed è destinato a perdere presto clienti, commissioni e cattedre.
Il problema del gap tra teoria e pratica, tuttavia, è concreto e urgente, oggi più che mai, al punto che in molti contesti gli insegnanti di ruolo vengono affiancati da professionisti e da specialisti, che portano ai discenti esperienze e casi concreti per rafforzare quanto appreso sul piano teorico. Forse però questo non basta.
Per perseguire davvero l’eccellenza occorre che docenti e discenti entrino con convinzione nell’era del lifelong learning e che entrambi abbiano accesso al mondo del lavoro e a quello delle aziende, perché è solamente in quel contesto che la formazione può essere davvero completa, efficace e al passo con i tempi.
Come è possibile fare tutto ciò?
Insegnanti si nasce?
Come per tutte le cose, nessun insegnante nasce tale. Molti di loro hanno questa aspirazione sin da bambini, ma la maggior parte arriva a svolgere questa attività nel corso della propria carriera di studio o di lavoro. Ovviamente ogni materia e ogni percorso formativo ha le sue caratteristiche e peculiarità, quindi è impossibile (e pericoloso) generalizzare, ma è probabilmente da qui che bisognerebbe partire, per avere insegnanti migliori.
La domanda è: a parte chi insegna singole materie dal punto di vista meramente teorico (come ad esempio accade nella scuola dell’obbligo), è davvero sostenibile l’idea che un insegnante esca dalla scuola, faccia tirocinio come docente e vada subito a insegnare, senza aver mai messo piede in un’azienda diversa da quella scolastica? Come può una figura di questo tipo formare ragazzi che poi dovranno lavorare, mettendo in pratica una teoria che nasce esclusivamente dai libri? Fortunatamente questa ipotesi è da tempo smentita nei fatti, perché la stragrande maggior parte dei percorsi didattici prevede già numerose forme di avvicinamento e di inserimento nel mondo del lavoro (es. alternanza scuola-lavoro), ma oltre alla mera questione pratica rimane quella culturale. Chi insegna non può più permettersi il lusso di essere un docente soltanto perché ne ha i titoli e perché ha ricevuto una cattedra e un incarico. Chi pensa questo è fuori dal mondo e non è di alcuna utilità per i suoi discenti, che ben difficilmente potranno anche soltanto apprezzare ciò che questi insegna.
Insegnare meno, insegnare bene
L’avvento di internet ha cambiato il mondo molto più di quanto non si riesca a comprendere. Non che oggi sia possibile imparare qualsiasi cosa navigando in rete; al contrario, l’enorme mole di informazioni contrastanti che è semplice reperire su centinaia di milioni di siti rischia di fare danni enormi in ambito formativo.
Nonostante l’inattendibilità di molte fonti online, tuttavia, oggi il problema delle mere nozioni è molto ridimensionato rispetto al passato. Al netto di tutte le innovazioni applicabili alla didattica (es. realtà virtuale, aumentata e mista, stampa 3D e molto altro) appare sempre più fondamentale l’importanza delle applicazioni pratiche, del confronto diretto con le aziende e con il mondo del lavoro, ma ancor più il trasferimento di una mentalità e di un metodo. Imparare una volta e per sempre è infatti quanto di più lontano dalle esigenze attuali e future della nostra civiltà.
Ecco perché servono insegnanti che abbiano ben chiara l’esigenza della scuola di trasferire meno concetti e più stimoli. Serve un approccio che porti chi impara a confrontarsi con la realtà e con tutte le sue sfumature, più o meno ortodosse che siano.
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