Riunioni di lavoro: seccatura o strumento (utile) per i tempi che cambiano?
Nel tempo dell’innovazione permanente, è tutto così veloce che, al termine di questa frase, potrei già avere cambiato idea su quello che vorrei dire.
Fuor di paradosso, lo spunto dell’articolo che state leggendo concerne le riunioni, da un lato, come strumento organizzativo, e i parchi giochi dei bambini, dall’altro.
In qualche modo, questa strana associazione mi arriva dallo studio di alcuni aspetti dell’intelligenza collettiva, concetto più che mai trendy e più che mai hot topic, con la saggezza della folla portata in auge dalla tecnologia ubiqua che trasforma in dato ogni nostro più piccolo movimento, ogni nostra più piccola decisione.
Il tema delle riunioni, anche su questo magazine, è stato più volte affrontato: come renderle efficaci ed efficienti, di vero aiuto insomma per le nostre organizzazioni?
Si sprecano e si sono sprecate un sacco di idee: stabilire ex ante la durata delle stesse, come Yahoo che, a suo tempo, aveva imposto il limite dei 15 minuti. Forzare le persone a stare in piedi, perché la scomodità della posizione facilita il raggiungimento di decisioni in tempi brevi. Elogiare le somme virtù del silenzio, come Amazon che richiede la preparazione di memo di 6 pagine che ogni partecipante della riunione si deve leggere, stando zitto appunto, prima della discussione. Usare i Lego per evitare meccanicamente l’emergere di dinamiche 80/20 o l’effetto ancoraggio, spiacevoli situazioni in cui gli estroversi rule the world e chi parla per primo detta l’agenda. Per chiudere con la carrellata, affidarsi salomonicamente alla smaterializzazione di Slack con l’idea che, online, una pioggia di micro-interventi si trasformi magicamente nel miracolo di una soluzione.
Ecco, da un lato va detto che ci sarà pure una saggezza della folla ma la folla, da sé, non produce saggezza.
E dall’altro c’è un tema altrettanto delicato: tutte le proposte elencate, in modo diverso, condividono una specie di antropologia negativa per cui le riunioni sono il male e, in qualche modo, ne va ridotto il peso o il dis-funzionamento.
Ecco dunque che ci tornano utili i parchi giochi dei bambini: decenni fa, spigoli e pietra erano l’ABC del designer urbano, con il corollario non piacevole di un sacco di incidenti. Il leitmotiv sacrosanto della sicurezza, nel tempo, portò a una profonda trasformazione di tali spazi, con l’introduzione della gomma e di angoli sempre più smussati.
Risultato: incidenti ridotti al lumicino e genitori più sereni.
Tutti contenti? Non proprio. Perché psicologi e neuroscienziati, cammin facendo, hanno cominciato a sostenere, fondati dall’evidenza empirica, che per un bambino cadere o farsi male è utile. Anzi, quasi necessario, per apprendere e diventare più intelligente.
Di qui la nouvelle vague degli architetti che hanno, lentamente, ri-modificato il design di scivoli e altalene, con l’obiettivo di arrivare a un rischio calcolato, ma significativamente non nullo.
Spostiamoci con immensa dilatazione mentale al mondo delle organizzazioni: non è che l’antropologia negativa delle riunioni potrebbe essere, in qualche modo, modificata? Parliamo tutti i giorni di complessità, che equivale quasi a non parlarne.
E se fosse che le riunioni ci sembrano inutili, frustranti, terribilmente lunghe, perché i problemi da risolvere sono diventati sempre più complessi, continui, mutevoli?
Scrive un oppositore fiero delle riunioni, ma forse questo è uno spunto utile per chi disegna oggetti e, in senso più lato, città smart: vogliamo un ambiente che guidi passo passo le nostre decisioni, eliminando a monte lo scivolo da cui cadere e sbucciarci il ginocchio? O desideriamo, piuttosto, una città, e un’organizzazione, che ci offrano la possibilità di crescere in termini di capacità cognitive e relazionali?
Potrebbe essere che una massa di individui smart smette di essere un collettivo?
Potrebbe essere che le riunioni siano lo strumento più visibile, davanti ai nostri occhi, per accorgerci davvero che il tutto è davvero più della somma delle sue parti?
C’è una frase dello scrittore Chesterton con cui chiudere adeguatamente: “Ho cercato in tutti i parchi di tutte le città e non ho trovato statue di comitati”.