Quanto pagheresti per seguire qualcuno sui social?
Il web ci ha abituato molto bene, una babilonia di contenuti, di informazioni, di servizi a nostra disposizione senza spendere un euro. Questa pacchia però potrebbe finire molto presto e i segnali per una inversione di tendenza arrivano puntuali da più fronti. L’ultimo colpo è quello di Twitter che ha da poco lanciato la funzione Super Follows.
Al momento è disponibile solo negli USA e consiste nel chiedere un abbonamento agli utenti per poter accedere ai contenuti “esclusivi” di alcuni account. Detto in altro modo, se prima si poteva leggere qualsiasi twitt del personaggio o dell’azienda che si voleva seguire, ora per vedere tutto quello che viene postato potrebbe essere necessario pagare una quota mensile.
Una tassa tutt’altro che economica visto che la spesa parte da 2,99 dollari ma può salire anche a 4,99 o addirittura a 9,99 dollari. Inoltre l’esborso non è flat, ma è una cifra che si paga singolarmente per ogni account Super Follows.
L’idea non è sbagliata, pagare qualcuno che realizza contenuti di qualità, esclusivi, personali, dovrebbe essere un principio elementare del business. Nella vita di tutti i giorni i prodotti e i servizi che usiamo hanno un costo. Paghiamo il biglietto del cinema, la cena al ristornate, il concerto del nostro artista preferito, la partita di calcio allo stadio. Però pagare qualcosa in rete, soprattutto se fino ad oggi ci è stata data gratis, è tutta un’altra storia.
Gli abbonamenti ai giornali online fanno fatica a decollare, milioni di utenti preferiscono essere tediati dalla pubblicità per ascoltare la musica gratuitamente, c’è persino chi utilizza siti pirata per vedere film e sport in TV. In questo scenario è molto improbabile che il popolo dei social sia disposto a pagare qualcuno per seguirlo online.
Come andrà la funzione Super Follows di Twitter è ancora tutto da verificare ma l’iniziativa voluta dal fondatore della popolare piattaforma Jack Dorsey ha il pregio di riaccendere i riflettori su tema fondamentale: il web non può e non dovrebbe essere gratis. Se i servizi sono gratis gli utenti stanno pagando in altro modo, probabilmente con il tributo dei loro dati personali e significative cessioni di privacy.
Da una parte il pagamento di una quota per usare un servizio consentirebbe di poter pretendere rapporti più chiari tra fornitori e utenti, dall’altra scegliere a chi dare i propri soldi premierebbe i contenuti di nostro gradimento. Un cambio di paradigma difficile, soprattutto per le nuove generazioni.
L’era di internet “gratis” dovrà però essere superata e uno degli elementi più forti per andare in questa direzione è riconoscere e premiare i contenuti di qualità. Le persone saranno disposte a pagare solo quello che riterranno rispondente alle proprie aspettative e più pagheranno questi contenuti, più si creerà un divario dal rumore di fondo mediocre del web e un livello alto e significativo.
Qualcosa in questa direzione sta accadendo. Le piattaforme di streaming stanno aiutando a capire meglio questo meccanismo e iniziative come Patreon, persino OnlyFans (siti di finanziamento collettivo) e il crowdfunding dal basso, suggeriscono segnali incoraggianti. Rimane però molto da fare, ma una cosa è sicura nulla potrà rimanere gratis per sempre.