Plastica: che futuro le aspetta?
A Parigi a inizio giugno si è cominciato a discutere di un trattato globale contro l'inquinamento da plastica. È un primo passo importante, a patto però di affrontare l'emergenza nella sua totalità, e non solo come un problema di smaltimento e riciclo.
A inizio giugno, a Parigi, i delegati di 175 paesi si sono riuniti per discutere un accordo sulla gestione di tutto il ciclo di vita della plastica, dalla produzione all’utilizzo fino allo smaltimento. I negoziati sono durati cinque giorni (dal 29 maggio al 2 giugno) e non hanno raggiunto un risultato definitivo, ma solo un piccolo punto di partenza, impegnandosi a creare una bozza per un trattato globale contro l’inquinamento da plastica entro la fine dell’anno, per poi approvare il testo definitivo nel 2024.
Un mondo di plastica: i numeri
Bastano poche cifre per raccontare come l’inquinamento da plastica sia una delle grandi emergenze di questo secolo, ed è quindi fondamentale combatterlo. La produzione ha raggiunto oggi i 460 milioni di tonnellate all’anno e, secondo le ultime previsioni dell’Ocse, potrebbe triplicare entro il 2060: «La prospettiva mantenendo il business-as-usual è insostenibile», dice senza tanti mezzi termini lo studio. Dal report di Greenpeace Plastica: emergenza fuori controllo emergono prospettive se possibile ancor più catastrofiche: «Dal 2000 al 2015 è stato prodotto il 56% di tutta la plastica fabbricata nella storia umana, raggiungendo circa 370 milioni di tonnellate nel 2019» – si legge. «In termini di massa equivale a più del doppio della massa di tutti gli organismi che vivono attualmente sulla Terra. Secondo le stime più accreditate, se la curva di crescita esponenziale dovesse seguire l’attuale traiettoria, i volumi prodotti ogni anno nel mondo raddoppierebbero entro il 2030-2035 per triplicare nel 2050, raggiungendo 1.100 milioni di tonnellate». Per produrre la plastica (che deriva dal petrolio) non bisogna poi dimenticare che si emettono grandi quantità di gas serra.
Due idee di futuro per la plastica
Dai recenti negoziati di Parigi è apparso chiaro che esistano tra gli interlocutori due visioni molto differenti sul futuro di questo materiale. La prima vuole concentrarsi solamente sulla parte finale del problema, cioè quella dello smaltimento, perché ritiene la plastica problematica unicamente come rifiuto. La seconda invece affronta la questione in maniera più olistica, considerando la plastica una forma di inquinamento globale e pervasiva, che sta lasciando tracce ovunque (dagli Oceani alle cose che mangiamo, fino al nostro sangue).
La plastica come rifiuto, un approccio non sufficiente
A livello globale oggi ricicliamo correttamente poco meno del 10% di tutta la plastica, quindi è evidente che migliorare la parte finale del ciclo sia importante. Chi propende per la prima visione, però, spesso non è interessato a trovare soluzioni per ridurre la produzione della plastica, ma vuole proseguire con il business-as-usual, cercando di limitare i danni attraverso il riciclo e il riuso. Si tratta di soluzioni non sufficienti per un problema delle dimensioni che abbiamo visto poco prima. Spesso, dietro queste posizioni, si nasconde una volontà ben precisa da parte di paesi, aziende e istituzioni che hanno forti interessi nei combustibili fossili (specialmente nel petrolio) di mantenere vivo un piano B per quando, finalmente, abbandoneremo le fonti fossili per produrre energia.
L’importanza di un approccio totale al problema della plastica
Per provare a risolvere il problema, quindi, serve guardarlo nella sua totalità, dalla produzione all’utilizzo fino allo smaltimento. Oggi la plastica non è solo una questione di economia circolare, perché è ovunque. Le microplastiche e le nanoplastiche hanno invaso la filiera alimentare, quella farmaceutica, sono state trovate in cima ai monti più alti del mondo e negli abissi più profondi del mare. Chi sposa questa seconda visione parla di bando delle plastiche monouso, di phase-down nella produzione della plastica. È sicuramente la strada più complicata, e ci si arriverà per gradi, attraverso una transizione, però è anche l’unica via percorribile per non vivere in un mondo sempre più dominato dalla plastica.
Le possibili alternative e le innovazioni nel settore
Dato quindi per assodato che per il futuro è obbligatorio produrre meno plastica di oggi, bisogna però fare i conti con un mondo che attualmente conta molto su quel materiale. I telefoni, i computer, l’abbigliamento, i dispositivi medici, le tubature, i mezzi di trasporto, i contenitori di alimenti, i cosmetici, gli occhiali da vista, i giochi dei bambini: la lista di cose fatte (anche) di plastica potrebbe andare avanti all’infinito. Le proprietà di questo materiale, prime fra tutte la sua grande versatilità, lo hanno reso il preferito per migliaia di applicazioni, favorendo allo stesso tempo quella cultura dell’usa e getta che tanto danneggia il pianeta. Come fare, quindi, in futuro? Bisogna rivedere il nostro modello di sviluppo consumistico e allo stesso tempo studiare soluzioni alternative. Uno studio della University of New South Wales ha evidenziato le proprietà delle foglie del banano e delle bucce di banana sia come contenitori per alimenti, ma anche per ottenere un filamento utile per stampare in 3D degli oggetti (come gli occhiali, per esempio). In generale, tutto il filone di elementi naturali (meglio se di scarto) in sostituzione della plastica è molto attivo. In Finlandia è nato nel 2020 il progetto Piloting Alternatives for Plastics, che riunisce oltre 50 aziende finlandesi e internazionali impegnate nell’utilizzo di fibre naturali al posto della plastica di origine fossile. Molto interessante è anche Vasshin, un’azienda indiana di ingegneria ambientale che crea prodotti a partire dagli aghi di pini.