Per vedere più auto elettriche bisogna installare colonnine dove non servono
Come si può incentivare la mobilità elettrica? Le leve su cui lavorare sono ovviamente molte, dal prezzo dei veicoli alla capacità delle batterie fino alla diffusione delle colonnine di ricarica e a una maggior chiarezza e praticità nella gestione delle ricariche stesse. Secondo Motus-E, un’associazione che riunisce le principali realtà legate all’elettrificazione dei trasporti su ruote, nel 2021 la penetrazione sul mercato italiano delle auto con ricarica è stata del 9.35% rispetto al 4.33% del 2020. E stando all’usuale report di Deloitte sul tema, il 69% degli italiani è interessato alla mobilità ibrida ed elettrica: uno dei valori più elevati al mondo specialmente se confrontato con il 51% registrato in Germania o il 31% degli Stati Uniti. D’altronde, non è più un’esperienza esotica ritrovarsi una colonnina sotto casa, in città, e iniziare a familiarizzare con prese, cavi, automobili di nuova generazione.
Che cos’è l’ansia da ricarica
Eppure l’ansia da ricarica rimane una delle ragioni più importanti di stress per chi possiede un’auto elettrica, soprattutto per i primi tempi dopo l’acquisto, o per chi sarebbe appunto interessato. Di cosa si tratta esattamente? In sostanza, della preoccupazione – specialmente fuori città e per trasferimenti di media-lunga percorrenza – di non trovare una colonnina a portata nonostante le numerose applicazioni di produttori e gestori energetici, oltre che dei big della tecnologia, che ci aiutano a programmare nel miglior modo possibile una trasferta. D’altronde l’autonomia di un veicolo BEV, “battery electric vehicle”, è minore rispetto a quelle tradizionali a combustione, anche se su questo fronte i passi sono sempre più importanti. In più c’è una ragione culturale, se vogliamo, che si collega all’aspetto della programmazione: con un veicolo a combustione la necessità di calcolare soste e ricariche è sostanzialmente ininfluente. Se il serbatoio si svuota è davvero difficile rimanere a secco, anche se ogni tanto capita nelle zone più remote o meno presidiate dai distributori di carburante (che in Italia sono in effetti molti e mal dislocati). Con l’elettrica bisogna appunto predisporre un piano di viaggio, o come minimo farsi due conti prima di partire: un atteggiamento che si acquisisce solo nel corso dell’uso perché per le auto elettriche i power bank (ancora) non esistono.
Secondo molti sembra che di colonnine non ce ne siano mai, salvo quando – appunto – ci si confronta con un’auto elettrica e si è costretti a cambiare abitudine. O semplicemente a cercarle con più attenzione. Tuttavia l’ansia da ricarica è ancora una costante. Non solo in Italia ma, in generale, in tutti i mercati più avanzati rispetto alla mobilità elettrica. Anche negli Stati Uniti, dove – spiega a Wired US Gil Tal, direttore di un centro di ricerca specializzato dell’università della California, sede di Davis – le persone vogliono sapere che ci sono colonnine su ogni possibile itinerario. Anche se di solito non lo percorrono o non ci si fermerebbero mai.
Il piano del governo federale statunitense
Per questo qualche settimana fa il governo federale statunitense ha sfoderato una mossa all’apparenza ingiustificata ma, inquadrata da questo punto di vista, di una certa importanza. Almeno in questa fase della diffusione dell’elettrico: ha cioè imposto alle amministrazioni statali e locali di utilizzare i 5 miliardi previsti a questo scopo dalla legge sulle infrastrutture da 1.200 miliardi di dollari approvato lo scorso autunno per collocare stazioni di ricarica più o meno ogni 50 miglia (circa 80 chilometri) su specifiche tratte delle autostrade nazionali. Le colonnine non dovranno ovviamente essere per forza ai lati delle strade ma comunque prossime alle uscite, nel raggio di un miglio.
Questo nonostante l’americano medio guidi meno di 35 miglia al giorno, anche prima della pandemia, e che negli Stati Uniti la stragrande maggioranza dei proprietari di un’auto elettrica disponga di punti di ricarica nel garage di casa. Nel complesso, la presidenza Biden vuole lasciare in eredità al paese il primo pezzo di un piano da 500mila stazioni di ricarica rapida da ultimarsi nel giro di otto anni. Un piano monumentale se si considera che al momento sono 47mila, appena 6mila delle quali in grado di caricare alla massima velocità le batterie, “facendo il pieno” all’auto in circa mezz’ora. Ma inevitabile se la prospettiva è quella di fare in modo che la metà delle auto vendute entro il 2030 sia a zero emissioni.
La risposta è nella psicologia
“Ma perché collocare stazioni di ricarica in aree remote dove saranno usate poco?” si domanda Wired US. La risposta sta scritta nella psicologia delle persone. Paul Stern, presidente del Social and Environmental Research Institute, un ente che studia come le persone prendono decisioni relative alla sostenibilità, spiega infatti che il solo vedere le stazioni di ricarica per veicoli elettrici su una mappa potrebbe alleviare l’ansia di alcuni potenziali acquirenti. Li rassicurerebbe cioè del fatto che, una volta alla guida di un’auto elettrica, potranno trovare un posto dove caricare la batteria. Una rete di stazioni di ricarica altamente visibili lungo autostrade ben trafficate potrebbe anche attirare l’attenzione dei conducenti sui veicoli elettrici, funzionando così da elemento per così dire incentivante e promozionale di per sé stesso.
Nicole Sintov, una psicologa che studia l’adozione di veicoli elettrici alla Ohio State University, ha esaminato la relazione tra la densità delle stazioni di ricarica in un’area e la volontà dei suoi residenti di adottare veicoli elettrici in uno studio in fase di revisione. La conclusione è che con l’aumento delle colonnine in una certa zona l’ansia da portata della gente del posto diminuisce e queste diventano di conseguenza più disposte a passare all’elettrico.
Ovviamente è impossibile piazzare colonnine ovunque, per molte ragioni, dai consumi alla necessità di non sottrarre troppi posti auto alla stragrande maggioranza che utilizza veicoli a combustione interna: il percorso va modulato tenendo però presente questo aspetto psicologico. In particolare nelle zone rurali o isolate, proprio quelle a cui sono destinati altri 2.5 miliardi di dollari di un’altra voce del piano infrastrutturale statunitense.