Non sarete vero tra quelli che ancora non vendono online?!? I bei numeri dell’e-commerce
E’ appena passato il periodo dell’anno più interessante per lo shopping e per gli operatori che fanno retail, è anche tempo di bilanci per vedere se il periodo natalizio ha dato quella boccata d’ossigeno che in molti attendevano. La mia attenzione però vuole porre l’accento alle vendite on-line, convinta che chiunque venda al consumer, ma non solo, debba affrontare il discorso e-commerce. Alcuni numeri, sicuramente noti ai più, ci aiutano a capire la portata che questo settore ha raggiunto e le sue prospettive.
Dai dati diffusi dallo studio associato Casaleggio, l’e-commerce vale 1600 miliardi di dollari nel 2015, con una crescita del 20.9% rispetto a quella del 2014 (mercato mondiale) pari al 6,7% delle vendite al dettaglio.
Usa e Cina i principali mercati, 1 cinese su 7 acquista online ogni giorno, il 60% 1 volta a settimana.
In Gran Bretagna: Amazon, Tesco e Ebay i primi 3 marketplace rappresentano il 30% del mercato online.
Il mercato dell’e-commerce cresce del 16% i settori più in crescita sono: l’informatica (+26%), l’abbigliamento (+23%), l’editoria (+21%), il grocery (+22%) e il turismo (+9%). In crescita l’export del 18% che da solo vale oltre 3 miliardi di euro.
E l’Italia come si posiziona in questo scenario?
In Italia la penetrazione dell’e-commerce sul totale del mercato retail sta crescendo e passa dal 3,6 al 4% nell’ultimo anno (dati dell’Osservatorio eCommerce B2C Netcomm – Politecnico di Milano). Gli italiani a ottobre 2015 hanno acquistato per 16,6 miliardi online (+2,2 miliardi rispetto al 2014), 11,1 milioni di acquirenti hanno fatto almeno un acquisto. La crescita di e-commerce per i siti italiani è intorno al 15% (15 miliardi di euro).
Un ruolo chiave, in questa crescita, l’hanno anche settori che fino al 2013 non avevano una grande fetta di mercato per l’e-commerce, parlo dell’arredamento che raggiunge quota 350 milioni di euro, +75% rispetto al 2014, e l’enogastronomico che sfiora i 260 milioni di euro, in crescita del 30%. L’Italia è conosciuta nel mondo per i suoi prodotti di abbigliamento, calzature, accessori, moda, arredo, design, vino e prodotti alimentari-gastronomici di qualità e proprio nel 2014 la chiave di ricerca Made in Italy su Google è cresciuta del 12%.
In Italia purtroppo, nonostante i numeri in crescita da alcuni anni e con proiezioni sempre più positive, siamo indietro: quali sono i motivi?
Proviamo ad analizzarli e trovare alcune risposte utili.
- A mio avviso il primo grande scoglio è ancora quello culturale, siamo ignoranti, nel senso che ignoriamo le enormi potenzialità che l’e-commerce ci può dare. In Italia la diffusione di Internet è ancora lenta rispetto agli standard europei e mondiali. Quindi in merito tutti i soggetti che si occupano di impresa (Enti, istituzioni, associazioni di categoria, associazioni varie) devono ancora proseguire il lavoro fatto di cultura digitale, di alfabetizzazione e non dobbiamo di stancarci di raccontare le storie di imprenditori come noi che all’online ci sono già arrivati e oggi stanno raccogliendo i risultati. Non dobbiamo mai smettere di vedere quello che fanno i nostri cugini europei (gli esercenti italiani online il 5% contro una media europea del 20% per esempio).
- C’è anche un problema di posizionamento sui motori di ricerca dei nostri e-commerce, non basta fare un proprio negozio, bisogna poi lavorare e investire per far sì che sia facilmente trovabile online. Ancora basso è il numero di siti responsive, ovvero ben visibili e utilizzabili da mobile: non dimentichiamoci che gli acquisti da smartphone crescono del 64%, un acquisto su quattro viene da smartphone o tablet, rappresentano il 10% del totale dell’e-commerce.
- I costi: per aprire e gestire un e-commerce personalizzato le spese non sono bassissime, ma oggi nemmeno proibitive come qualche anno fa. In questo caso per fare dei passaggi graduali possiamo utilizzare i marketplace che stanno crescendo, basti vedere i casi di Amazon, che negli ultimi mesi ha aperto anche ai prodotti alimentari, oppure Ebay, giusto per citare due fra i principali player del settore.
- Un altro grande problema che abbiamo in Italia sono i costi e i tempi delle spedizioni, e la gestione anche economica dei resi. In questi casi è possibile fare accordi personalizzati con i vari vettori disponibili sul mercato. Ci sono esempi di esercenti soprattutto nel comparto dell’abbigliamento e della calzatura che a fronte di ottimi rapporti con i propri corrieri riescono a gestire i resi spedendo già al primo acquisto del cliente la taglia/numero appena inferiore e superiore rispetto a quella indicata dal cliente, in modo che l’acquirente possa restituirci i prodotti che non vanno bene, il tutto al costo di una spedizione sia per il negoziante che per il cliente finale.
Fino al 2014 non c’è stata legislazione che agevolasse le vendite online, ma finalmente qualcosa è cambiato anche a livello europeo: la Commissione europea si è posta l’obbiettivo di portare online un terzo delle PMI italiane e per far questo ha destinato parte del fondo Digital Growth 2014-2020.
Non ultimo un emendamento alla legge di Stabilità presentato in commissione Bilancio stabilisce il tetto delle commissioni interbancarie sulle operazioni sotto i 5 euro allo 0,25% del valore dell’operazione con carta di credito e allo 0,15% se con carta di debito, in modo che gli e-commerce che vendono prodotti a basso prezzo non vengano penalizzati.
I prestatori di servizi di pagamento e i gestori di schemi di carte di credito avranno tempo fino al primo aprile 2016 per definire le regole necessarie ad abbattere le commissioni per i micro-pagamenti. In caso di inadempienza il valore massimo delle commissioni non potrà essere superiore a 7 millesimi di euro per ogni operazione basata su carta di debito e a un centesimo di euro per ogni operazione basata su carta di credito.
Occorre quindi lavorare tutti insieme politica e attori privati affinchè si giunga una certa “maturità digitale” delle imprese ad investire nell’on-line, occorrono politiche che incentivino le vendite on-line e occorre pure che il sistema bancario faccia la sua parte, che in questo momento i costi ricadono completamente sugli operatori economici. Confido che nell’arco del 2016 il vero salto per le imprese italiane si riesca a fare e il bilancio di fine anno possa dimostrare che le imprese nell’online inizino davvero a crederci come i numeri ad oggi dimostrano