#Museodigital. Le novità tecnologiche di due musei USA da importare in Italia
Arrive courious. Leave inspired.
Una promessa mantenuta, quella che si legge una volta entrati nel sito del Centro Visitatori di Seattle della Fondazione Bill & Melinda Gates.
Lo confesso. Io non ci sono arrivata proprio curiosa curiosa.
Primo, perché l’idea di una visita non era stata mia e non mi ero neanche informata su cosa facesse la Fondazione. Secondo, nel centro espositivo di fronte c’era una mostra dei costumi utilizzati nella saga di Star Wars. Normale che il mio animo nerd abbia avuto il sopravvento per un attimo e che io abbia proposto ai miei amici di dividerci in modo che loro potessero visitare la Fondazione e io godermi la mostra. Ma alla promessa di poter fare entrambe le cose ho ceduto.
E dopo la diffidenza iniziale sono stata felice di questa esperienza, da cui in effetti sono uscita ispirata.
Il nome di Bill Gates mi ha fatto subito pensare a un’esposizione con muri tappezzati di schermi touch, video in loop e qualche bella “americanata” sparsa qua e là a beneficio dei turisti. In realtà gli schermi ci sono, sì, ma l’esposizione è molto più analogica che digitale. Il Centro Visitatori mostra le iniziative che la Fondazione promuove in tutto il mondo: non solo progetti e ricerche per debellare la malaria e la poliomelite, ma anche attività legate all’educazione e al sostegno dei Paesi in via di sviluppo, in diversi ambiti.
La parola d’ordine è condivisione. Principalmente delle idee.
Una volta entrati nel Centro Visitatori vi sarà chiesto di dare il vostro contributo, in termini di suggerimenti e riflessioni, per trovare soluzioni efficaci e innovative a problemi di carattere globale. Il dibattito è per il 50% almeno analogico e avviene attraverso cartoncini colorati, penne, mattoncini delle costruzioni, meccanismi che si avviano “a manovella”.
Nell’area “Give an idea… take an idea!” è possibile condividere le cause che più ci stanno a cuore, anche se sono differenti da quelle della Fondazione. E cercare di coinvolgere così altre persone.
C’è poi un sistema di ingranaggi che corrispondono a diverse variabili – la fertilità del suolo, la quantità di acqua, il supporto governativo… – e che vengono avviati dai visitatori attraverso delle manovelle, per provare a combinare diverse soluzioni possibili per migliorare la produzione agricola. Una volta “composta” la propria soluzione, viene fornita una classifica di fattibilità e successo.
Inoltre nel Centro è possibile scegliere una sfida e provare a fornire una soluzione attraverso l’utilizzo di costruzioni di legno, che permettono ai bambini (ma anche agli adulti) di toccare con mano le proprie idee di sviluppo e innovazione.
Non mancano anche gli schermi touch o i computer, ma anche in questo caso si tratta di postazioni che più che fornire informazioni chiedono un contributo ai visitatori. Che si tratti di scrivere la propria idea su come rendere il mondo un posto migliore in cui vivere, o di realizzare il manifesto per una campagna di sensibilizzazione su un tema a scelta.
Al termine della visita sono tantissime le informazioni che mi sono rimaste attaccate, probabilmente perché le ho davvero toccate con mano e mi sono divertita a contribuire a un progetto molto più grande di me.
Un altro museo di Seattle che dà la possibilità di interagire con l’esposizione è quello che racconta la storia della Caccia all’oro in Klondike.
All’ingresso c’è addirittura un cartello che invita i visitatori a toccare qualunque cosa, pigiare qualunque bottone, suonare il pianoforte e prendere le lettere in esposizione, leggere e poi rimetterle al loro posto.
In questo caso informazioni storiche neanche particolarmente affascinanti vengono mostrate attraverso attività che rendono protagonista il visitatore, che lo coinvolgono non solo sul piano intellettivo, ma anche su quello fisico, permettendogli di toccare tutto quello che c’è in mostra.
Tra le altre cose che potete fare in questo museo c’è quella di calcolare il vostro peso in oro, grazie a una bilancia che vi mostra il vostro valore al cambio del giorno e a quello del 1897.
E in Italia cosa succede? Secondo l’Istat pochissimo.
Se è vero che nella classifica delle attività culturali svolte fuori casa dai cittadini italiani nel 2014 le visite a musei e mostre sono al secondo posto, le percentuali sono comunque bassissime: solo il 27,9% della popolazione di 6 anni e più dichiara di esserci andata almeno una volta nel corso dell’anno.
L’investimento in edutainment secondo gli esperti rappresenta un sistema eccellente di coinvolgimento e fidelizzazione dei visitatori, ma la scarsità di risorse spesso impedisce alle istituzioni museali di programmare attività adeguate per conoscere i propri potenziali utenti, capire le loro esigenze e programmare sulla base di queste le migliori attività per rendere piacevole la visita e quindi farli ritornare. Sicuramente le tecnologie possono dare un grande contributo nel cercare di rendere mostre e musei più attraenti, ma da sole non bastano. Per questo, anche se molti enti negli ultimi anni si sono impegnati nel fornire percorsi di visita interattivi e coinvolgenti, attraverso sistemi touch e simulazioni 3D, rimane fondamentale la capacità di produrre contenuti di alto livello, che facciano parte di un percorso educativo più complesso e strutturato. Come a dire che la tecnologia da sola non basta, e che ci vogliono idee e contenuti forti alla base di qualsiasi applicazione.
Un esempio di approccio di questo tipo è quello del MA*GA di Gallarate (Varese) che recentemente, in occasione della mostra Missoni, l’arte, il colore ha presentato una nuova application che ha l’obiettivo di arricchire e facilitare la visita alla rassegna e di sperimentare nuovi metodi di lavoro per la fruizione del patrimonio artistico e culturale contemporaneo.
La MA*GA Smart Guide è un’applicazione georeferenziata per smartphone e tablet (iOS e Android), sviluppata dalla startup italiana Xensify, per interagire con la mostra in corso e consultare contenuti aggiuntivi sugli autori e sulle opere presenti nel percorso espositivo. Si tratta di una delle prime applicazioni in Italia che ha utilizzato le tecnologie iBeacon e Bluetooth Smart, che consentono di ricevere sul proprio smartphone determinati contenuti a seconda della posizione in cui il visitatore si trova all’interno del museo. Muovendosi tra le sale e gli spazi museali, quindi, è possibile accedere a informazioni aggiuntive – video, audio, testi, immagini – sulle opere che si stanno guardando e che si trovano in quella precisa stanza. Non una semplice audioguida, quindi, ma uno strumento che può essere sviluppato nel tempo e customizzato dai curatori e dagli esperti, che grazie a un intuitivo pannello di controllo possono inserire informazioni che non si limitano alla semplice descrizione delle singole opere, ma che possono trasformare la visita in un momento di educazione all’arte.
In conclusione, quindi, la questione non sembra essere se proporre una mostra analogica o digitale.
Ben vengano tutte le tecnologie e gli strumenti, purché abbiano un obiettivo finale comune: rendere la visita più divertente e coinvolgente, per fare in modo che i nostri musei non siano luoghi per pochi eletti, ma che diventino poli attrattori di diffusione della cultura a tutte le fasce della popolazione, per istruzione, età e interessi.