Metaverso: è tempo di decidere cosa vogliamo farci
Metaverso è una parola che, negli ultimi mesi, ha calcato prepotentemente le pagine di tutti i giornali e che ha invaso i nostri canali digitali e analogici. Ma cosa ci stiamo esattamente facendo? È una domanda che in molti si sono posti, soprattutto a fronte degli ingenti investimenti che molte aziende, Meta (ex Facebook) in primis, hanno stanziato. Le cifre sono – infatti – da capogiro: 600 miliardi di dollari nel 2022, che promettono di salire a 850 miliardi nel 2024. Scorrendo LinkedIn e altri social, non esistono aziende che non abbiano fatto almeno una menzione al fenomeno o non si siano dotate di una presenza stabile all’interno degli spazi e degli ambienti virtuali. Ma non è tutto oro quello che luccica.
Che problemi ci sono, quindi, con il metaverso?
Nella psicologia, soprattutto quella cognitiva e della comunicazione, che si occupa di realtà virtuale e aumentata, sono noti due concetti: quello di presenza e presenza sociale. Il primo si riferisce alla capacità di attuare le proprie intenzioni all’interno di un ambiente digitale o virtuale. È la sensazione di “essere” all’interno dell’ambiente in modo intuitivo. La presenza sociale – d’altro canto – è la capacità di “essere con altri da sé”: riuscire, cioè a riconoscere intuitivamente le intenzioni degli altri.
Il fatto che Zuckerberg abbia inserito la capacità di “sentire” e di poter muovere i piedi all’interno dell’ambiente VR nasce proprio con questa idea. Si tratta di un’innovazione forte che prova a risolvere uno dei problemi principali: non ci sentiamo a “casa”.
È uno degli ingredienti fondamentali che è sempre mancato all’interno di ambienti di questo tipo: avatar posticci e repliche più o meno cartonate rendono molto lontane le capacità di immergersi all’interno di un mondo virtuale con consapevolezza e pienezza.
Metaverso: non solo un tema di presenza e di realismo
Si tratta, quindi, solo di un tema di “resa grafica”? Non proprio. Sperimentazioni come quelle lanciate all’interno del metaverso non sono nuove. L’impatto della realtà virtuale e della realtà aumentata è studiato e applicato da anni in numerosi contesti, ma con finalità e scopi ben precisi. È il senso dell’applicazione a guidare: che sia in ambito medicale, di gaming, di entertainment o educativo. Il fatto che il metaverso – oggi – sia deserto (secondo alcuni report interni a Meta sarebbero davvero appena decine gli utenti attivi) è, quindi, forse maggiormente legato a una mancanza di casi d’uso ancora concreti e a benefici tangibili per le persone che ne fanno parte.
Come risolviamo il problema?
Se siamo interessati a popolare questi ambienti dovremmo forse ragionare maggiormente su alcuni aspetti legati a come lo comunichiamo, a come formiamo le persone che ne fanno parte e quale scopo (purpose) diamo a chi ne fa parte. È il primo ingrediente che deve accompagnarsi a una seria definizione di casi d’uso: applicazioni medicali, di formazione specialistica, di remote working possono fare da apripista a scenari più complessi.
Se definiamo concretamente una modalità di impiego del metaverso sarà più semplice fare in modo che le persone abbiano benefici positivi dalla sua adozione e ne comprendano davvero le potenzialità sottese.