Marte: profilo cinese
Mentre leggete queste righe è probabile che tre taikonauti, cioè tre astronauti cinesi, stiano orbitando attorno alla Terra a bordo della nuova stazione spaziale di Pechino, la Tiangong-1. Si chiama così, Tiangong, “palazzo celeste”, il primo avamposto modulare di cui la Cina ha lanciato l’elemento inaugurale, il laboratorio Tianhe, lo scorso 29 aprile.
Secondo i piani cinesi, il laboratorio orbitante sarà completato con l’invio, entro la fine del 2022, dei due pezzi mancanti, Wentian e Mengtian. E c’è da scommettere che la tabella di marcia sia rispettata, visto che nemmeno la pandemia è riuscita a rallentare i successi di Pechino oltre il cielo.
Per comprendere la concretezza delle ambizioni del Dragone (anche) al di là dell’atmosfera basti pensare che lo scorso 11 giugno sono arrivate da Marte le prime immagini di “Zhurong” – “dio del fuoco” – compreso un subito ribattezzato “selfie” in cui il rover cinese posa accanto al lander che l’ha appoggiato sulla superficie del Pianeta Rosso a metà maggio.
È una foto storica, che a saperla leggere racconta l’arrembante avanzata del gigante asiatico nello spazio. Anzitutto perché è il frutto di una missione, Tianwen-1, che ha segnato il debutto della Cina su Marte mettendo insieme il viaggio, la discesa sul pianeta e la capacità di manovrare un rover a milioni di chilometri dalla Terra (operazione riuscita su Marte solo agli Stati Uniti). In secondo luogo perché il “selfie marziano” è stato scattato da una fotocamera posizionata da Zhurong a circa una decina di metri da sé e di fatto è il primo scatto di un oggetto terzo effettuato a un rover e al suo lander. Dura non notare le diverse bandiere cinesi rappresentate sui robotici pellegrini extraterrestri.
Anche si aggiungesse al quadro la volontà, già ufficializzata dai diretti interessati, di costruire un avamposto scientifico sulla Luna insieme con la Russia, non si avrebbe una panoramica completa della strategia spaziale della Cina. Oltre l’atmosfera Pechino ha infatti pianificato di bruciare le tappe fino ad arrivare, nel 2049, centenario della Repubblica popolare, a portare i taikonauti a far compagnia a Zhurong, sul Pianeta rosso. Fino ad allora, il dominio extra atmosferico cinese andrà costruendosi giorno dopo giorno.
“Parlarne al futuro è un equivoco, la Cina è ormai la seconda potenza spaziale del mondo, sia per le capacità complessive, che per il sostegno economico e politico” commenta Blaine Curcio affiliate senior consultant della francese Euroconsult. Che abbia ragione lo conferma un dato su tutti: in Cina il settore impiega circa 100mila persone, 60mila più dell’intera Europa.
“Penso che le dimensioni della Cina – continua Curcio – sia per quanto riguarda il Pil, il numero di addetti e le infrastrutture spaziali esistenti, le permetteranno progetti su larga scala, come conferma la stazione in orbita bassa terrestre. Questi programmi offriranno molte opportunità ad altri: è improbabile, per esempio, che un Paese come il Pakistan sia in grado di costruire un avamposto spaziale, ma non è escluso possa inviare un proprio astronauta a bordo di quello cinese”.
Rimane da capire il perché di tanta frenesia (e spesa) spaziale da parte di Pechino, soprattutto durante una crisi sanitaria che ha imposto a chiunque di rivedere le priorità nazionali.
Il motivo è uno e invariabile da quando, nel 1957, lo Sputnik ha sancito la capacità dell’uomo di vincere le pastoie dell’atmosfera: lo spazio è strategico. In sessant’anni si è rivelato un driver tecnologico e scientifico per ambiti all’apparenza lontani se non slegati. È attraverso lo sviluppo della tecnologia spaziale che vengono offerti servizi innovativi all’agricoltura (il precision farming), al monitoraggio delle infrastrutture, all’osservazione dei cambiamenti climatici e dei loro effetti. Oggi migliaia di occhi orbitanti controllano le migrazioni e i confini nazionali, contribuiscono alla salvaguardia dei beni culturali e alla gestione del traffico aereo e marittimo, permettono le telecomunicazioni.
Il che ha anche un altro significato: la corsa per la supremazia tecnologica sul nostro Pianeta si gioca fuori dal mondo. E la Cina è fra i giocatori migliori, l’unico in grado di competere, da solo, con gli Stati Uniti.
È una partita per cui la Cina si allena da più di mezzo secolo, da quando Qian Xuesen, un allievo di Theodor von Karman cacciato dall’America per sospetto comunismo, nel 1956 allestì e diresse in patria il primo programma di sviluppo di missili balistici. Quando, quattro anni dopo, la collaborazione con l’Unione Sovietica si interruppe, la Cina non si fece trovare impreparata: il primo razzo sviluppato in patria, il vettore CZ-2, nacque nel 1964 e nel ‘70 portò in orbita il Dong Fang Hong 1, il primo dei 55 satelliti della stessa famiglia lanciati nei trent’anni successivi.
Inaugurato dal solito Qian Xuesen nel ‘68, il Centro di ricerca di medicina spaziale contribuì invece a realizzare l’idea per cui era nato, quella di lanciare un taikonauta nello spazio, risultato raggiunto il 15 ottobre del 2003 con Yang Liwei e la missione Shenzhou 5. Dopo Usa e Urss, la Cina fu il terzo Paese a inviare in autonomia un uomo oltre l’atmosfera. Complici quattro siti di lancio sul proprio territorio e investimenti crescenti – a oggi, dei 177 miliardi di dollari stanziati ogni anno per la Difesa, non è dato conoscere la porzione investita nello spazio, ma già fra il 2013 e il 2018 la cifra potrebbe essere cresciuta dai 6 agli 11 miliardi, budget secondo solo a quello americano -, il ritardo del programma spaziale cinese è stato via via ridotto e, in alcuni casi, annullato: nel gennaio 2019, l’Agenzia spaziale nazionale, la Cnsa, è stata la prima della storia a manovrare un rover sulla superficie nascosta della Luna.
“La Cina acquisisce informazioni e competenze dal resto del mondo da vent’anni” precisa Ezio Bussoletti, decano del settore, già vicepresidente dell’Agenzia spaziale italiana e nella commissione di selezione dei componenti il Consiglio di amministrazione del Miur. “Pechino ha mandato migliaia di studenti a specializzarsi nei migliori centri di ricerca e università internazionali. Complice un meccanismo selettivo che deriva dalla struttura politica spiccatamente verticale, ma è molto sensibile alle capacità dei singoli, oggi gli impiegati nel settore sono bravi e numerosi. L’obbiettivo è acquisire la leadership mondiale e il motivo è semplice: le tecnologie spaziali sono intrinsecamente duali, possono ciò essere impiegate sia per obbiettivi civili che militari. Dominare queste tecnologie significa vantare una posizione predominante nello scacchiere geopolitico”.
A ribadire un nuovo status negli equilibri (extra)terrestri, nel luglio del 2020 è appunto arrivato il lancio di Tianwen-1, la prima missione marziana dai tempidella fallimentare Yinghuo 1, disintegratasi nel 2012 sopra l’Oceano Pacifico. Come già scritto, per confermareurbi et orbi le proprie intenzioni, con Tianwen-1 la Cnsa ha raggiunto Marte con un orbiter, un lander e un rover, il“pacchetto completo”, ed è significativo che il lancio della missione sia avvenuto pochi giorni dopo il viaggio inaugurale del vettore Kuaishou-11, andato perso poco dopo il distacco dalla rampa: come a dire che la Cina non si ferma. Anzi, rilancia.
Non che le ambizioni spaziali di Pechino siano di esclusivo carattere bellico. L’importanza cruciale del settore e la sua progressiva centralità derivano dal fatto che lo spazio è strategico per una molteplicità di motivi, anche diplomatici. Realizzare progetti come l’insediamento umano sulla Luna, o arrivare su Marte, comporta partnership internazionali solide. E Pechino ha già palesato una forte volontà cooperativa: molto attivo in ambito multilaterale, attraverso la partecipazione a tutte le attività del Comitato delle Nazioni Unite per l’uso pacifico dello spazio extra atmosferico, e in bilaterale con Unoosa, da anni il Paese ospita in ufficio nell’ambito del programma Un-Spider (United Nations Platform for Space Based Information for Disaster Management and Emergency Response), che consente attività di training nell’uso di dati satellitari in caso di disastri e soprattutto per rispondere alle emergenze in tutti i Paesi nella regione. La Cina ha anche un ruolo di primo piano nell’International Committee on Gnss – il sistema satellitare globale di navigazione, ndr – che rappresenta un modello virtuoso di cooperazione.
“Penso che Pechino sarà sia un collaboratore che un competitor dell’Occidente – conclude Curcio – concorrente, perché continuerà a sviluppare tecnologie proprie e offrirà ad altri Paesi servizi spaziali sempre più avanzati. Collaboratore, invece, perché come detto la Cina offre già oggi a Paesi con programmi spaziali limitati ruoli di supporto o, addirittura, la possibilità di sviluppare capacità scientifiche attraverso progetti cinesi”. “Le collaborazioni future – chiosa Bussoletti – saranno possibili se configureranno situazioni win-win, cooperazioni che, se di reciproco vantaggio, anche l’industria italiana non dovrà escludere”.
Un’escalation bellica extraterrestre, dunque, oltre a non essere auspicabile non esaurisce le possibilità spaziali. Eppure molti esperti oggi ritengono che lo spazio possa diventare teatro di nuovo processo di militarizzazione: la space weaponization. Non è fortuito che a febbraio Joe Biden abbia confermato il pieno supporto alla Space Force, la forza armata per la gestione delle attività di difesa oltre l’atmosfera istituita da Donald Trump nel dicembre del 2019: gli Stati Uniti considerano quello extraterrestre “un nuovo dominio operativo” all’interno del quale le operazioni militari rischiano di intensificarsi nei prossimi anni. Il timore è rappresentato dalla Russia, certo, ma principalmente dalla Cina, accusate di aver “armato lo spazio”. È scritto senza tanti giri di parole nel Defense Space Strategy Summary della Difesa americana, dove più volte si fa riferimento a una possibile “guerra spaziale” da vincere anticipando i rivali dal punto di vista tecnologico.
Il futuro dello spazio, e con lui quello del nostro Pianeta, rimane da scrivere. A noi decidere se interpretare i selfie da Marte o i taikonauti oltre il cielo come la promessa di un domani migliore o se il nome di Zhurong, il dio del fuoco, suoni in modo completamente diverso.