Il nuovo marketing? Fare del bene. Si apre l’era delle aziende che puntano tutto sui valori
Diciamolo fin da subito: fare del bene e fare profitto non sono più due universi distinti. Armonizzare e intrecciare questi due ambiti è anzi la sfida che ogni azienda deve oggi saper raccogliere per essere pronta per un futuro che è già arrivato. È mia convinzione da tempo, nella mia veste di Direttore Marketing di Banca Mediolanum, come testimoniano i miei interventi in eventi prestigiosi, dal TEDxRoma all’LH Forum per l’Economia Positiva tenutosi a San Patrignano, fino al più recente World Marketing Summit di Tokyo, in cui ero l’unico speaker italiano, invitato direttamente dal padre del marketing Philip Kotler.
Dal Giappone torno con sensazioni vivide, di conferma e rilancio di questo tema che mi sta così a cuore, al punto da chiedermi un tempo se io non fossi solo una sorta di Peter Pan del marketing. E invece. Il gotha del settore ha affrontato l’argomento con ricchezza di contenuti e punti di vista nei due giorni di convegno tenutosi al Pamir Hotel di Takanawa dove erano rappresentate 1.500 tra le più importanti aziende giapponesi e asiatiche.
Dalla mia settimana nipponica sono tornato rinfrancato nello spirito. Non soltanto perché nel Sol Levante tutto appare leggero ma profondo e la frenesia che noi occidentali ben conosciamo in Giappone sembra pulsare su frequenze diverse, più ovattate e riflessive, ma soprattutto perché il “fare del bene”, che con più coraggio potremmo tutti chiamare amore, oggi è compiutamente riconosciuto non solo come una genericamente auspicabile scelta etica delle aziende, ma anche come un ineguagliabile vantaggio competitivo.
Siamo dunque al principio di una fase nuova, tipica della nostra era, che Philip Kotler definisce 3.0 e che Patrizio Paoletti sintetizza con la definizione di ‘Diagonal Marketing’. L’Era della Partecipazione ha appunto giocato il ruolo di presupposto chiave dell’evento di Tokyo, che nella frase “through marketing for a better world” sottolineava l’ennesimo riposizionamento di questa scienza moderna nella gerarchia delle funzioni aziendali, riformulandone così la sua missione.
Una riformulazione che prende le mosse da un frame preciso: il mercato oramai maturo determina per tante aziende una crescita molto bassa, se non del tutto assente, dei volumi. Laddove il prodotto sembra sempre più una commodity, il bene più raro e prezioso divengono così le idee e la creatività. La necessità di un cambiamento radicale si traduce nell’obbligo per le aziende di contribuire a creare qualcosa che duri più a lungo nel tempo e abbia un impatto più intenso sulla vita delle persone.
Si tratta di una nuova impellente sfida: creare attorno al cliente, per il cliente, grazie alla sua co-partecipazione al progetto aziendale, un Eco-sistema che sintetizzi tre necessità in una: quella dell’azienda di realizzare profitto, quella del cliente di essere soddisfatto e felice e la necessità sociale di trarre vantaggio da questa transazione, cosa che fino a pochi anni fa veniva snobbata ma che oggi viene fortemente richiesta dal mercato. Non a caso, le aziende che non lo fanno vengono messe in discussione sui social network.
La consapevolezza di fondo è che il cliente non è isolato dall’insieme e non può separarsi da esso perché a esso appartiene e in esso è inserito. I temi di cui dovrà occuparsi il Marketing 3.0 saranno allora Umanità e Responsabilità Sociale d’Impresa. L’obiettivo è rendere il mondo un posto migliore in cui vivere, anche grazie al fattore abilitante rappresentato dalla nuova ondata tecnologica. Le imprese guardano dunque all’essere umano nel senso pieno del termine, alle sue esigenze materiali e spirituali, e il concetto chiave su cui poggia l’azione di marketing diventano i valori.
Nell’imminente futuro, il cliente non vorrà comprare qualcosa da te ma vorrà fare esperienza di te, e a fronte del tradimento della promessa si verrà banditi per sempre. Col potere tornato nelle mani dei clienti, la competizione sarà più dura, finalmente molto più vera, perché fondata sulla capacità di corrispondere a dei valori piuttosto che di costruire dei prodotti o vendere dei servizi. Come nelle più belle favole, l’auspicio è ovviamente che vincano i più buoni in quanto più bravi a perseguire un bene che non contempli più solo se stessi ma anche gli altri e l’insieme che entrambi contiene.
Sono i tratti della mia idea di Economia 0.0: non un mondo che rallenti ma che per passare alla fase 4.0 faccia prima un passaggio “dentro”, in profondità, cercando delle soluzioni a tutto ciò che abbiamo fatto di non- o mal-funzionante, a un livello di coscienza più profondo di quello che ha prodotto il problema perché, come diceva Gandhi, «la velocità non fa la differenza se si va nella direzione sbagliata».
Ecco perché a Tokyo ho concluso il mio intervento lanciando una provocazione: «La vera rivoluzione non è quella digitale. Il digitale è solo un nuovo ambiente come ne abbiamo sempre avuti lungo la storia della nostra specie. La rivoluzione non è quella tecnologica, poiché la tecnologia l’abbiamo sempre inventata (o meglio, scoperta!) lungo la storia della nostra specie, pensate al fuoco o alla ruota. La vera rivoluzione sarà l’evoluzione delle coscienze».