Mangiare meglio per cambiare il mondo
Era un mondo completamente diverso, quello in cui si cominciò a parlare di sostenibilità, alla fine del secolo scorso. Nel 1972 il Club di Roma, un think tank nato nel 1968 e formato da scienziati, economisti, uomini e donne d’affari, attivisti dei diritti civili, alti dirigenti pubblici internazionali, diede inizio ad un fondamentale percorso di consapevolezza, che si concretizzò nel “Rapporto sui limiti dello sviluppo”.
Si dovette attendere fino al 1987 per maturare quella consapevolezza nella prima definizione di “sviluppo sostenibile”, elaborata dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo (WCED) nel rapporto Brundtland, meglio conosciuto come “Our Common Future”. In quell’importante documento si legge: “lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”.
Dall’inizio degli Anni ‘70 ad oggi lo sviluppo sostenibile è stato però purtroppo una chimera. In questi 50 anni la nostra impronta ecologica, indicatore usato per valutare il consumo umano di risorse naturali rispetto alla capacità di rigenerazione della Terra, è cresciuta costantemente, facendo arretrare l’Earth Overshoot Day (EOD), ovvero il giorno dello sforamento (sovrasfruttamento) della biocapacità terrestre, è passato dal 10 dicembre del 1972 al 29 luglio del 2021, con un picco al 25 luglio nel 2018.
Mai come oggi il detto “siamo quello che mangiamo” è stato drammaticamente attuale ed è per questo che il futuro del genere umano passa necessariamente dall’alimentazione e dalla ricerca di una sostenibilità che renda tollerabile per il Pianeta il peso di oltre 8 miliardi di persone. In questo contesto le variabili in gioco sono numerose e sfidanti. Ne ho parlato con Francesca Varvello, CEO di Heallo, una startup che opera nel settore della ricerca alimentare e della nutraceutica, cui ho posto alcune domande.
Cambiamenti climatici e food
D) Presto le più gravi tensioni che il mondo globalizzato dovrà affrontare non riguarderanno più ideologie, politica o questioni meramente economiche, ma gli effetti dei cambiamenti climatici e delle carestie che da essi (e non solo) deriveranno. Che ruolo e che responsabilità hanno, in quest’ottica, gli esperti, gli imprenditori e le aziende del comparto food?
Il rapporto di ricerca Food Industry Monitor 2021 dal titolo “La sfida della crescita sostenibile per l’industria del food” realizzato sulla base di dati pubblici e di dati raccolti da banche dati ad accesso riservato, che sono stati elaborati da un team di ricercatori presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo con il supporto di Ceresio Investor, ha evidenziato che le aziende alimentari italiane stanno investendo in sostenibilità: Il 93% di esse ha incrementato gli investimenti in sostenibilità negli ultimi 5 anni. Sarebbe corretto porre parametri oggettivi e misurabili entro i quali dover restare. Purtroppo l’attenzione a queste tematiche, anche a livello delle Autorità competenti è appena partita: stiamo collaudando uno stabilimento produttivo e ci vengono richiesti dei dettagli e delle specificità in termini di impatto ambientale, che ci confermano non essere mai stati chiesti alle aziende che hanno cominciato un paio di anni fa, possiamo immaginare quelle storiche produttive da decenni.
Cibo e salute
D) Cibo e salute. Non è una novità di questi anni che le due cose siano strettamente correlate, ma negli ultimi decenni stiamo abbracciando una prospettiva olistica, non più riferita soltanto alle persone ma estesa alla biosfera e alla sostenibilità della nostra presenza sul Pianeta. Quali sono i fattori in gioco e come possiamo oggi produrre e consumare cibo, in virtù di questa nuova consapevolezza?
Decenni di sfruttamento del nostro pianeta ci stanno portando verso un’estinzione di massa e il ritmo con il quale l’estinzione di specie procede sul nostro pianeta sarebbe 1.000 volte superiore a quello si stima fosse prima dell’apparizione dell’uomo sulla terra. Quindi il nostro approccio non può non tenere conto di quanto ogni nostra scelta sia determinante sull’intero ecosistema che ci circonda. La produzione del nostro cibo e le modalità di approvvigionamento e consumo sarebbero dovute rientrare in questo ragionamento: oggi cerchiamo di correre ai ripari: l’input è sempre lo stesso. Dobbiamo risparmiare le risorse terrestri: il petrolio, il carbone, l’acqua, le foreste, il suolo e prediligere produzioni che generino meno CO2.
Consumare o mangiare?
D) Insostenibilità nella produzione e nella distribuzione, schiacciante predominio della GDO e delle multinazionali, spreco, furbi espedienti di marketing, presunti super cibi o ingredienti alternativi… come si esce da questo mondo e si va concretamente verso il nuovo? Siamo davvero arrivati ad un punto di non ritorno o la “spinta dal basso” cui stiamo assistendo in questi anni potrà rovesciare il tavolo e darci un modo nuovo di mangiare, che non sia più mero consumo?
Un fenomeno da considerare è quello del greenwashing: molte aziende cavalcano l’aspettativa dei consumatori di maggior sostenibilità sostenendo finti claim spesso peccando di assenza di prove, di vaghezza e di irrilevanza. La spinta dal basso è la più forte e quella che di più può trainare le multinazionali e la GDO a fare scelte più responsabili. L’eliminazione dell’olio di palma dalle produzioni è l’esempio più eclatante. Il consumatore ha sempre più accessi all’informazione e la sua opinione può davvero scatenare delle vere e proprie rivoluzioni. Le aziende, in un mondo di offerte ampie, diverse e alla portata di tutti, grazie al commercio online, dovranno necessariamente adeguarsi alla trasparenza.
Siamo quello che mangiamo
D) Siamo quel che mangiamo e mangiamo quel che siamo? Negli ultimi decenni mangiare bene ha significato soprattutto avere buone disponibilità economiche e investire in corretta e sana alimentazione. Come possiamo rovesciare questo paradigma? Produrre buon cibo a costi sostenibili per miliardi di persone è un’utopia o un obiettivo davvero perseguibile?
La disponibilità di cibo nei Paesi occidentali in forme e luoghi diversi ne ha quasi stravolto la natura: spesso compriamo cibo e ci nutriamo per comodità o per moda, senza riflettere più sulla vera funzione della nutrizione, viviamo di surplus e spesso dobbiamo correggere con l’integrazione quello che un’alimentazione senza più principi fondamentali, ci ha tolto o, più spesso, ci ha dato in eccesso. Siamo in costante lotta con il nostro corpo, con la nostra forma, con le nostre performance e spesso dimentichiamo il nostro benessere. Purtroppo la nostra alimentazione è lo specchio della nostra vita: per riappropriarci di una corretta alimentazione dovremmo riappropriarci della nostra consapevolezza di essere umano, dei nostri limiti, dei nostri fabbisogni, dei nostri tempi e della nostra emotività. Ritrovandoci come essere umani forse riusciremmo a reinquadrare i nostri bisogni fisici e psicologici e a restare maggiormente in equilibrio con tutto l’ecosistema e la natura.
La mission di Heallo
D) Heallo ha una mission ambiziosa: migliorare l’alimentazione, tutelare la salute, preservare l’ambiente. Il tutto in un’ottica di economia circolare. Sembra troppo bello per essere vero, eppure è la ricetta per cambiare davvero il mondo. Come vivete questa responsabilità?
Arrivando dall’industria molitoria, colpevole della raffinazione della farina, abbiamo vissuto sulla nostra pelle la sensazione di portare avanti una tradizione produttiva, che nei decenni si è perfezionata per migliorare la produttività, le rese e la conservazione del prodotto, a discapito della salvaguardia del cereale nella sua interezza e di tutte le sue sostanze nutritive. Bello da vedere è stato attrattivo dal dopoguerra in avanti: il pane bianco, la michetta sviluppata, la mela perfetta e lucida, il pollo a fette nella vaschetta. L’azienda alimentare ha inseguito paradigmi lontani dalla naturalità e spesso ha accelerato i processi (allevamento), ha generato scarti laddove il “buono” era nello scarto. Heallo si pone l’obiettivo di cercare in maniera scientifica, supportata dalle tecnologie moderne, il buono negli scarti e renderli disponibili per la nutrizione. Molti scarti della produzione cerealicola sono ottime fonti di principi nutritivi ancora utili all’uomo, che devono essere recuperati e reintegrati nella nostra alimentazione in maniera mirata e consapevole, dando ancora nuova vita al nuovo sottoprodotto che si genera.
Gli scarti diventano risorsa
D) “La pietra scartata è diventata testata d’angolo” (Matteo 21,33-43.45-46). Ciò che per l’industria alimentare è scarto per voi diventa risorsa e, proprio come la pietra citata nel Vangelo secondo Matteo, quella risorsa non è marginale, ma portante. È quel meno che diventa più al punto di chiedersi: perché quella pietra è stata scartata dai “costruttori” moderni? Perché processare i cibi sembra oggi una buona idea?
L’industria alimentare ha dovuto affrontare le sfide dei tempi e si è adeguata: parlo ancora dell’industria molitoria perché arrivo da quel mondo. Una volta c’era un molino per ogni borgo: la macinazione dei cereali veniva fatta al momento e la farina consumata subito. Oggi la popolazione è assiepata nei centri urbani, le farine, dalla macinazione, possono venire consumate nel giro di un anno, subiscono trasporti lunghi, devono avere caratteristiche standardizzate per dare performances costanti nei processi industriali sempre più perfezionati. Per questo la raffinazione è diventata cruciale in molti processi produttivi. Il consumatore chiede servizio: i cibi devono essere buoni, belli e conservabili a lungo perché li devo trovare sullo scaffale del supermercato e il supermercato, a sua volta, deve avere la possibilità di farli ruotare senza farli scadere. Gli scarti si generano e spesso non hanno la sorte virtuosa che si meriterebbero. Noi lavoriamo con le trebbie dell’industria birraria e con i sottoprodotti dell’industria saccarifera: spesso lo scarto è scomodo da gestire, costoso da smaltire, ma inevitabile generarlo: l’opportunità che offriamo ai produttori di dare una nuova vita allo scarto è fondamentale per noi, ma per loro vitale e importante per il consumatore e per l’ambiente.