Luna: perché dopo 50 anni tutti vogliono tornarci
A mezzo secolo dall’ultima volta, sembrava che il genere umano fosse pronto a tornare sulla Luna. E invece sia il 29 agosto che il 3 settembre si è attesa invano la partenza di Artemis 1, la missione inaugurale del programma deputato a riportarci sul nostro satellite naturale, questa volta, come da anni proclama la Nasa, “per restarci”, cioè per arrivare a una presenza umana stabile.
Per due volte il gigantesco razzo Space Launch System (o Sls) è rimasto sulla rampa, bloccato da perdite di idrogeno nella linea di rifornimento del cosiddetto “primo stadio”, quello con i quattro potenti motori Rs-25 (gli stessi dello space shuttle) capaci di spedire, insieme con i due booster laterali, le 2608 tonnellate di Sls oltre l’atmosfera.
Tornare sulla Luna: i progetti in corso
Atteso dal 7 dicembre del 1972, data dell’ultimo allunaggio umano, il ritorno sulla Luna è la prossima frontiera delle grandi agenzie spaziali. Non solo la Nasa, che infatti per il programma battezzato come la divina gemella di Apollo, Artemide, si avvarrà di un’ampia collaborazione internazionale, in particolare con l’Agenzia spaziale europea (l’Esa), quella canadese (la Csa) e quella giapponese (la Jaxa). Oltre a loro, sulle lande seleniche puntano già la Cina, la Russia, l’India, l’agenzia spaziale israeliana o la Corea del sud, che ha una sonda pronta a partire nelle prossime settimane. Per non parlare delle tante compagnie private già coinvolte come SpaceX, che dovrà realizzare il lander di Artemis, cioè una versione del veicolo Starship capace di posarsi sulla superficie, o Axiom Space e Collins Aerospace, ingaggiate per la realizzazione delle tute spaziali di nuova generazione.
Luna: perché tutti vogliono tornarci
Ma perché, dopo mezzo secolo, oggi tutti vogliono tornare a mettere un piede, anzi addirittura a stabilirsi, fra i crateri selenici, costi quel che costi?
Per rispondere sarebbe il caso di partire dalla fine, dal prezzo della nuova avventura: quanto costa tornare là dove solo 12 uomini, tra il 1969 e il ’72, hanno messo piede?
Secondo l’Ufficio dell’Ispettore generale Nasa, l’Oig, il solo lancio di Artemis 1 che, opportuno ricordarlo, non trasporta persone ma ha l’obiettivo di collaudare tutti i sistemi coinvolti, pesa sulle tasche dei contribuenti per 2,2 miliardi di dollari. La spesa per l’intera missione si aggira attorno ai quattro miliardi, compresi i 300 milioni per il contributo europeo; 95 miliardi se si considerano tutte le missioni necessarie al prossimo allunaggio che, con Artemis 3, è previsto permetterà alla prima donna e al prossimo uomo di toccare la superficie extraterrestre. Un obiettivo al momento programmato non prima del 2025, sebbene gli scettici parlano già del 2026, consci dei tanti ritardi accumulati.
Fornita l’entità economica iniziale dello sforzo, si proceda con lo riassumerne i motivi, beninteso senza la pretesa di esaurirli. Insomma, perché, soprattutto in un momento in cui le difficoltà terrestri abbondano, è il caso di investire per tornare dove da mezzo secolo, cioè dalla fine della “space race” fra Stati Uniti e Unione sovietica, nessuno sembra più voler passare?
Punto uno: oggi come allora, per l’importante evoluzione tecnico-scientifica che il traguardo richiede e, quindi, garantisce qualora raggiunto. Un obiettivo la cui complessità è stata testimoniata proprio dai due tentativi di lancio interrotti. C’è un’aggiunta rispetto ad Apollo: come già scritto, questa volta si torna “per rimanere”, cioè per fare in modo che in futuro donne e uomini possano vantare una presenza stabile sul nostro satellite naturale. Fra i crateri, specie quelli al Polo Sud, è previsto che prima o poi si operi in continuità, si faccia ricerca, si comunichi e si lavori. Anzitutto grazie ad avamposti in orbita circumlunare in grado di supportare le attività in loco – si pensi al progetto Gateway, partecipato anche dall’Italia –, in seguito con insediamenti sulla superficie, cosiddetti “Moon Village”. Imparare a vivere, o almeno a lavorare, a fare ricerca, fra le lande seleniche costituirà il banco di prova decisivo per spingersi oltre, su Marte in primis.
Punto due: oggi come allora, per il prestigio politico. E fra le righe, ma nemmeno troppo, per la valenza strategica del risultato. Ed è un peccato che lo scacchiere geopolitico sia scosso da tensioni diverse, ma non meno intense, di quando, negli anni 60, la cavalcata lunare declinò oltre l’atmosfera la guerra fredda, quella competizione per il predominio tecnologico, militare e pure sociale fra le due superpotenze dell’epoca. La differenza è che oggi gli Stati Uniti non sono soli, ma cristallizzano una collaborazione che non sarebbe azzardato chiamare occidentale e che, come già scritto, vede l’Europa e l’Italia schierate in prima linea. Dall’altra parte, al posto dell’Unione sovietica, ecco la Cina, la seconda potenza spaziale del nostro Pianeta. Con, al suo fianco, la Russia, certo ridimensionata in quanto a investimenti (politici ed economici) rispetto a 60 anni fa, ma non così tanto in quanto ad ambizioni. Non è un caso che ben prima che Artemis si spostasse sulla rampa, Pechino e Mosca avessero già annunciato la volontà di costruire insieme una base lunare, che ospiterà robot e missioni congiunte entro il 2036 (ma c’è chi, come Asia Times, giura possa succedere prima).
Punto tre: non suonasse rozzo, si scriverebbe “per soldi”. Sarebbe però scorretto ridurre le promesse della Luna a una mera questione di denaro sonante. Di fatto, convergenti ragioni economiche e interessi commerciali potrebbero fare dell’avventura lunare l’ennesima occasione per moltiplicare il numero degli “stakeholder spaziali”, anche se non soprattutto extra-settore.
Tralasciando gli aspetti geopolitici della questione, non certo perché se ne sottovaluti l’importanza, ma, al contrario, proprio perché per restituirne le sfumature servirebbe un articolo a sé. Qui basti ricordare che la Luna, proprio come durante la prima corsa fra Stati Uniti e Unione sovietica, rappresenta una meta il cui raggiungimento implica ampia capacità tecnologica e logistica d’avanguardia – leggasi: capacità militari non alla portata di chicchessia – e restituisce un prestigio come pochi altri traguardi, forse nessuno.
L’economia della Luna
Molto più degli anni 60, però, oggi la Luna promette di diventare un game changer economico per i servizi che deriveranno dallo sviluppo in loco, poi per lo sfruttamento delle sue risorse. Non ultimo, per le applicazioni terrestri di quanto imparato e costruito su un suolo extraterrestre. È evidente come questo punto non sia separato dal prestigio geopolitico, ma anzi lo innervi, ed è per questo che sembra opportuno scriverne più in dettaglio.
Quanto la Luna, “severa maestra” avrebbe detto lo scrittore Robert Heinlein, avrà da insegnarci in termini di infrastrutture abitative, per la comunicazione o la navigazione, potrebbe avere una ricaduta sulla Terra anche a breve termine. Lo dimostrano già oggi piani lunari per la produzione e la distribuzione energetica di Enel, o progetti per le comunicazioni e la navigazione, come quello su cui verte l’accordo, siglato a luglio, fra Inmarsat, gestore britannico di servizi per le telecomunicazioni mobili, e l’italiana Telespazio, leader dei servizi satellitari, di geoinformazione e navigazione in rete.
In prospettiva, invece, cioè quando la prospezione, l’estrazione e il trasporto diventeranno sostenibili, saranno invece le risorse lunari a costituire un nuovo eldorado: la superficie selenica custodisce infatti uno scrigno di metalli preziosi e acqua ghiacciata, quest’ultima considerata “il petrolio dello spazio”, perché utilizzabile sia per la sopravvivenza degli insediamenti, sia per la produzione di propellente. Ma anche, o forse soprattutto, sono le riserve di elio 3 e terre rare a stimolare i tanti languori lunari. Mentre il primo, disponessimo della fusione nucleare, aprirebbe le porte del nirvana energetico, le terre rare rischiano di essere oggetto (e casus belli) di appetiti non così futuribili: trattasi di 17 elementi chimici già oggi essenziali per l’industria elettronica e tecnologica, “verde” compresa, e a dispetto del nome non sono esigue sulla Terra, ma costose da estrarre e per la maggior parte controllate dalla Cina, che ne detiene circa il 37% delle riserve. Secondo un rapporto del 2017 della Banca Mondiale, la loro richiesta non farà che crescere nei prossimi decenni.
Artemide impone scienza e ricerca innovative, reclama infrastrutture da sviluppare, promette scoperte e ricchezze a beneficio, ce lo si augura, collettivo. Per questo, dopo averla ignorata per cinquant’anni, oggi la Luna attrae il genere umano come mai prima.