L’orologio di Union Square ci ricorda che il futuro dipende da noi
Da qualche settimana, sulla facciata di un grattacielo in Union Square a New York, è comparso un enorme orologio digitale che ha preso a segnare il tempo rimasto prima della fine del mondo come lo conosciamo. È il Climate Clock e ha come obiettivo richiamare gli occhi dei passanti e di tutto il mondo, sulla verità incontrovertibile che il tempo per agire è stretto: solo sette anni.
Al di là del senso ultimo di questa iniziativa, dei risultati che si prefigge di raggiungere, dell’urgenza che l’argomento richiede e della serietà con cui dobbiamo finalmente trattarlo e risolverlo, qui vorrei solo narrarne l’origine e raccontare di un suo nobile antenato, nato in un momento molto buio della storia e che appunto gli ha dato i natali.
Si tratta del Doomsday Clock, l’orologio metaforico voluto dagli scienziati della rivista Bulletin of the Atomic Scientists dell’Università di Chicago che nel giugno del 1947 lo resero pubblico con lo scopo di ammonire i governi mondiali affinché non abbassassero la guardia dal pericolo derivante dalle armi nucleari.
Dalla fine della Guerra fredda e dalla caduta della Cortina di ferro, di minacce imponenti tanto se non più del nucleare ne sono emerse molte!
Dalla sua creazione a oggi, le lancette sono state spostate in avanti o indietro, 24 volte. In questi settantatre anni abbiamo avuto un periodo in cui ci siamo allontanati dall’apocalisse di ben 17 minuti. Si è trattato del periodo di massima distanza in assoluto ed è avvenuto tra il 1991, anno in cui sono stati siglati i trattati START, acronimo che sta per Strategic Arms Reduction Treaty, cioè gli accordi internazionali firmati tra gli Stati Uniti e l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche che mettevano un tetto massimo alla produzione di testate nucleari e missili balistici, e il 1995, quando iniziarono i problemi politici e sociali nelle repubbliche che hanno ottenuto l’indipendenza dall’URSS.
Ma ci sono state anche date in cui le lancette si sono avvicinate massimamente alla mezzanotte, una prima volta tra il 1953 e il 1960, cioè negli anni successivi al test termonucleare che distrusse un atollo nell’Oceano Pacifico. E una seconda volta nel 2018, anno in cui l’orologio ha segnato le 23:58.
Tra i pericoli che possono determinare lo spostamento delle lancette verso la mezzanotte dell’umanità, da un decennio a questa parte, ci sono senza dubbio lo sviluppo delle armi biologiche o dell’ingegneria genetica. Ma soprattutto c’è il cambiamento climatico.
Nel gennaio di quest’anno, a causa del continuo riarmo nucleare e della mancanza di azioni per contrastare il climate change, le lancette si sono spostate ancora più vicino alla mezzanotte e oggi segnano le 23:58:20.
Smettere di far finta di non sentire il ticchettio regolare dei secondi che se ne vanno dipende da noi. Da ciascuno e da tutti noi. Non è solo questione di adottare comportamenti un po’ più virtuosi, che ovviamente hanno un senso. È anche una questione di renderci agenti del cambiamento, attivandoci presso tutti coloro che ci sono contigui, raggiungendo tutti i componenti della nostra sfera di relazioni e di azioni, affinché a loro volta cambino, e a loro volta si attivino con la propria avviando così un crescendo che in breve può dare origine a un’onda rinnovatrice talmente potente da costringere la storia che a detta di molti è ormai segnata, a cambiare rotta. È urgente. È questione di secondi: 100.