Lo smart working è chiave per il successo. Perché ci si concentra sui progetti e si smette di perdere tempo
Il concetto di Smart Working è entrato da anni nel lessico interno di aziende, agenzie e startup italiane. Eppure, la confusione su cosa sia davvero il “lavoro agile” e su come sviluppare una strategia efficace di change management rimane enorme.
Proviamo a fare un po’ di ordine. Innanzitutto, non si tratta di telelavoro. Lo smart worker non è colui che è riuscito a trasformare il tavolo di casa nella postazione d’ufficio aziendale. Allo stesso modo, non basta identificarlo come lavoro delocalizzato o coworking. La flessibilità e la condivisione degli spazi lavorativi sono tratti distintivi, ma non gli unici e nemmeno i più importanti.
Ciò di cui stiamo parlando investe tanto il luogo, quanto i tempi, i ruoli e l’approccio quotidiano alla professione. Trasformare un’azienda in social organization è tra le sfide più grandi in cui un manager possa lanciarsi. Come muoversi?
Un buon punto di partenza lo troviamo grazie a Guy Clapperton e Philip Vanhoutte, autori del libro The Smarter Working Manifesto, dove si illustrano i tre asset principali del percorso, le 3 B: Bricks, Bytes e Behaviours. Ovvero mattoni, tecnologia e comportamenti.
https://www.youtube.com/watch?v=idH1doHbfY8
Iniziamo dai comportamenti: saper progettare attitudini e atteggiamenti adatti al lavoro agile è il vero problema. Se non si riesce a vincere su questo punto, nessuna tecnologia o organizzazione degli spazi si rivelerà adatta, e saremo destinati a fallire.
Diciamo addio ai classici orari d’ufficio e affidiamoci agli obiettivi concreti da raggiungere. La regola è ottenere i risultati previsti nei tempi prefissati, al massimo della qualità. Di conseguenza, uno smart worker deve essere responsabilizzato ed educato alla gestione del tempo. Per arrivare a questo bisogna coinvolgere le persone al massimo: solo un professionista che crede in un progetto e lo sente anche “suo” vorrà vederlo ultimato quanto prima, gestendo la sua libertà e dando priorità al progetto stesso.
Immaginiamo la differenza tra un professionista che “deve” lavorare durante il weekend e uno che può organizzarsi volontariamente per lavorare nel fine settimana, dove e come desidera, riuscendo a ultimare al meglio un’attività last minute.
Per operare sui comportamenti, la prima mossa è quella di lanciare attività informative e di ascolto dei collaboratori, attraverso survey ad hoc e brainstorming, raccogliendo entusiasmi e perplessità, individuando da una parte i potenziali ambassador, dall’altra gli scettici e i detrattori. Ciò che dovrete ottenere sarà una mappatura delle opportunità e dei rischi connessi, più che ai processi, alle singole persone.
Se siete un’azienda con un alto numero di collaboratori, potreste anche rivedere i Bricks, ovvero gli spazi fisici dell’ufficio. La mentalità collaborativa si sposa meglio con gli open space che con le postazioni fisse. Uno startupper o un freelance invece potrebbero sfruttare i servizi messi a disposizione dai sempre più numerosi coworking e acceleratori di idee sparsi sul territorio italiano.
Riprendendo il testo di Clapperton e Vanhoutte, quando si organizzano i nuovi spazi bisognerebbe suddividerli secondo quattro esigenze:
- Adatti alla collaborazione: di stimolo alla discussione di gruppo e al brainstorming
- Per la concentrazione: adatti al lavoro individuale focalizzato, silenziosi e appartati
- Per la comunicazione: mix di collaborazione/comunicazione dal vivo e online
- Per la contemplazione: spazio confortevole e ri-energizzante
L’aspetto generale da valutare è l’acustica: chi progetta stanze condivise si preoccupa troppo spesso del design e della gradevolezza estetica, non curandosi del caos sonoro che tende a nascere in tali ambienti. Siete uno startupper a caccia di un coworking space? Prestate attenzione all’acustica delle sale condivise. Altrimenti, lavorare potrebbe trasformarsi in un inferno!
Ho analizzato due elementi delle 3 B: Bricks e Behaviours. Nel mio prossimo post racconterò degli ambienti tecnologici formidabili che incentivano lo smart working, appunto i Bytes.