L’Europa spaziale: fra sostenibilità, sfide e scommesse
Ci sarà da sgomitare per non arrivare ultimi e trovare tutto occupato. Lo spazio dei prossimi anni, prima ancora che dei prossimi decenni, è obiettivo di tutte le potenze economiche (in un longform per l’Ispi, l’Istituto di per gli studi di politica internazionale, avevamo raccontato perché).
L’Europa parte bene, ma con un handicap che Paesi come Cina, Russia, Stati Uniti o India non hanno: essere l’unione di una trentina di nazioni diverse, ognuna con interessi propri e con specifici obiettivi economici, strategici e di Difesa. Portare tutte sotto una stessa bandiera è la sfida, politica prima che tecnologica.
A poche settimane di distanza, in due space summit, il direttore generale dell’Agenzia spaziale europea (Esa), Josef Aschbacher, e il ministro francese, Thierry Breton, hanno tracciato le linee guida del prossimo futuro in orbita attorno alla Terra e di quello più remoto, che ci porteranno fino a Marte e alle lune ghiacciate di Giove e Saturno alla ricerca di tracce di vita.
Allo Space Summit del 16 febbraio, i leader delle nazioni europee che compongono l’Esa si sono allineati a un progetto comune, sintetizzato dal direttore generale in tre iniziative definite “acceleratori”, per mettere a frutto la tecnologia spaziale continentale, visto che gli altri (governi e privati) non stanno a guardare. E due “inspirations”, cioè nuovi orizzonti.
“Dobbiamo accelerare”
Il primo acceleratore riguarda l’economia e la tecnologia green: usare lo spazio per supportare un futuro verde e la transizione verso tecnologie sostenibili. A partire dalla costellazione Copernicus, l’eccellenza dei satelliti Sentinel. La flotta satellitare europea conta satelliti scientifici (Earth Explorer), le Sentinelle che hanno già valenza operativa, e i satelliti meteo. Gestiti da Esa insieme con la Commissione ed Eumetsat, sono 16 già operativi e 39 in fase di sviluppo. Ogni giorno scansionano il nostro Pianeta dall’orbita e aggiungono un pezzo al gemello digitale della Terra. Col progredire di queste tecnologie, Aschbacher cita anche i sensori quantistici, che rivoluzioneranno le misure rendendole via via più precise: avremo il quadro ad alta definizione sull’inquinamento dell’aria, del suolo, dei mari, delle temperature e delle deforestazioni. Ci renderanno sempre più consapevoli delle trasformazioni che avvengono sulla Terra. E dei progressi, se ci saranno, nel tentativo di fermare il riscaldamento globale. I costi dell’inazione, da qui al 2100, potrebbero infatti arrivare a superare i 700mila miliardi di dollari.
Il secondo acceleratore ha una stretta connessione col primo: oltre a monitorare, sarà necessario agire. Perché i fenomeni scatenati dal climate change stanno già flagellando tutte le regioni del globo. Solo nel 2020 si è avuto un costo totale dei danni pari a circa 400 miliardi di dollari. Si parte sempre dalle tecnologie europee già in orbita: Copernicus, per avere dati e immagini dal sorvolo di aree colpite da alluvioni, uragani fino alle eruzioni vulcaniche. Galileo, per il geoposizionamento. E una European Secure Connectivity, che garantisca la connessione attraverso i satelliti.
Fare ordine
Il terzo acceleratore riguarda lo spazio per lo spazio. Solo negli ultimi due anni si sono lanciati tanti satelliti quasi quanto tutti quelli spediti in orbita dall’inizio dell’era spaziale (inaugurata dal sovietico Sputnik, nel 1957). C’è tanto traffico lassù e nessun vigile o semaforo per smistarlo. Grandi compagnie come SpaceX, OneWeb e Amazon stanno per di più costruendo infrastrutture spaziali che, una volta completate, si comporranno di decine di migliaia di satelliti per portare Internet ovunque. Altre ne seguiranno, compresa quella europea.
Serve quindi, secondo il direttore dell’Esa, un’economia circolare anche oltre l’atmosfera. Ridurre i relitti orbitanti, inventando sistemi per farli deorbitare e lasciare via libera ad altri che li sostituiranno. Oppure parcheggiarli in orbite “cimitero”, per toglierli di mezzo. Tutto in tandem col settore privato. Si potranno lanciare satelliti a servizio di altri satelliti, che li rimorchiano oppure provvedono a rifare il pieno di energia per allungare la vita a dispositivi costosi e delicati (un ambito sintetizzato dal concetto di in-orbit servicing). Si dovranno trovare sistemi per proteggere i satelliti dalle intemperanze del nostro Sole. Una tempesta geomagnetica ha di recente messo ko qualche decina di Starlink. Un satellite “morto” è un proiettile che continua a orbitare senza controllo ed è quindi una minaccia per gli altri asset spaziali.
Un posto al sole
Qualche settimana prima è stato il ministro francese Breton a indicare la via, con un piglio da statista. Durante la Space Conference tenutasi a Bruxelles a gennaio, ha messo al centro l’impegno europeo per conservare il proprio “posto al sole”. Ha annunciato la nascita di una “European Space Launcher Alliance”, uno sforzo comunitario per il futuro del trasporto spaziale. I nuovi vettori (Vega C e Ariane 6) sono quasi realtà, debutteranno quest’anno. Ma si stanno sviluppando sia le evoluzioni di questi ultimi, che nuovi microlanciatori (con la Germania in testa nella loro realizzazione) per coprire nuove fette di mercato e arrivare ad avere razzi riutilizzabili, pronti a emulare i successi di SpaceX.
Breton ha parlato a lungo della connettività europea. Come Galileo fa concorrenza al Gps, una infrastruttura spaziale di connessione europea potrà competere con le le grandi compagnie come Amazon e SpaceX, che stanno costruendo le proprie. La logica “duale”, dell’approccio francese e dei governi in generale, dello spazio, significa una visione sia civile che militare e di sicurezza interna di ciò che venga lanciato oltre l’atmosfera. I satelliti di osservazione servono per monitorare autostrade, ponti e palazzi, ma anche a scopi di difesa e, perché no?, di spionaggio. Un internet satellitare servirà per avere banda ultralarga in tutta Europa, per connettere regioni colpite da cataclismi in caso vengano danneggiate le infrastrutture (cavi e antenne) al suolo. Pensiamo a Tonga, isolata senza possibilità di comunicare dopo l’eruzione del vulcano. Non è uno scenario molto diverso da quello di una guerra. E uno dei prossimi step potrebbe essere proprio una Space & Defence Strategy comune. Lo ha detto la Nato: non si combatte più solo a terra, in aria o in acqua. Lo spazio è un dominio bellico. E va presidiato.
La visione comune è quella che, comunque, non si possa fare più alcunché senza il contributo dei privati. L’avventura spaziale diventa così win-win. Gli investimenti dei governi creano prospettive, opportunità e aprono la strada alle compagnie e alle startup per contribuire con ricerca e sviluppo alla ricchezza e al consolidamento, in un settore ormai diventato strategico, per il proprio Paese. Si procederà in questo senso: l’impegno dell’Esa è noto da tempo. Breton ha annunciato il Cassini Space investment fund, da un miliardo, per dare ossigeno agli investimenti spaziali.
Nuovi orizzonti
L’Europa da tempo attende di poter andare sulla Luna. Ci sono riusciti solo gli americani. E dall’inizio dell’era spaziale, solo loro, i russi e ora i cinesi hanno l’opportunità di inviare nello spazio astronauti con un proprio vettore. Aschbacher ha messo tra le “inspirations” proprio lo sviluppo di un sistema di trasporto europeo per astronauti. Non c’è ancora una roadmap, potrebbe essere un Ariane 6 con una capsula ancora da progettare. I tempi saranno lunghi, ma non tutte le “inspirations” sono come il progetto Apollo. La decisione di investire tempo e denaro in una astronave europea, che possa portare sulla Luna nel prossimo decennio magari Samantha Cristoforetti, Luca Parmitano o una delle nuove leve che verranno selezionate il prossimo autunno, spetterà alla prossima Ministeriale, la riunione triennale dei ministri degli Stati membri. È quasi certo che, tra un decennio, la Stazione spaziale internazionale sarà sulla via del decommissionamento, per dirla con meno garbo, sarà abbandonata e smantellata. Ci saranno una stazione cinese e, forse, una o più stazioni private. Speriamo ci siano una stazione in orbita lunare e un insediamento sulla superficie della Luna. Non sarebbe male poterci mandare i “nostri” con partenza dallo spazioporto europeo (quello di Kourou, nella Guyana francese) su un razzo e capsula che portano la bandiera blu con le 12 stelle.
Le inspirations sono cose difficili. Nel 2023 l’Europa tornerà a toccare il suolo di Marte, il rover del programma Exomars è pronto a decollare il prossimo autunno e andrà scavando alla ricerca di resti di una vita passata o magari, chissà, presente ancora sotto la superficie. Forse la più complicata, è quella buttata lì da Aschbacher quest’anno, ma non tanto per dire: inviare sonde a esplorare le lune ghiacciate che orbitano attorno ai due pianeti giganti del Sistema solare. Riportare campioni a Terra da analizzare. E cercare, lì dentro, la presenza di una qualsiasi forma di vita. Sarebbe l’ispirazione del secolo.