L’economia del dono alla base del fare comunità. Abbiamo bisogno di non sentirci più soli!
A partire dall’inizio del XXI secolo sono stati evidenti i primi cenni di cedimento del nostro sistema economico così come l’abbiamo sempre pensato. Ormai siamo in recessione, la crescita langue, la disoccupazione rimane elevata. Una risposta alla crisi è arrivata una decina di anni fa dalla Sharing Economy con la proposta di un consumo collaborativo, per risparmiare ma anche per una sostenibilità ambientale e sociale.
Questo senza parlare di decrescita felice, semplicemente mantenendo le nostre abitudini ma riadattandole in un’ottica di sharing. Negli anni si sono moltiplicate le piattaforme volte a favorire il consumo collaborativo, come Bla Bla Car per il carpooling, Couchsurfing o Airbnb per i viaggi, o S-Cambia cibo per mettere in circolo le eccedenze alimentari. Provate a pensare una necessità e sicuramente in rete troverete il modo per soddisfarla in modo “collaborativo”, peer to peer.
Gran parte di queste piattaforme permettono di ridurre la circolazione di denaro, in alcuni casi addirittura di bypassarla completamente grazie al baratto o alle banche del tempo in cui ognuno mette a disposizione le proprie competenze accumulando un credito in ore da poter riscuotere con le prestazioni di altri associati. In generale possiamo dire che alla base di ogni sistema c’è il do ut des, perché è difficile pensare che qualcuno possa fare qualcosa per l’altro senza avere niente in cambio. Anche quando si parla di economia del dono, almeno nell’accezione iniziale del suo teorizzatore, Marcelle Mauss, esiste comunque una forma di reciprocità perché nella sua definizione il dono si compone di tre parti: dare, ricevere, ricambiare.
Sulla teoria del dono si è discusso molto. Il filosofo Jacques Derrida ad esempio ha affermato che per parlare realmente di dono esso non dovrebbe essere percepito come tale né dal ricevente né dal donatore, per non rischiare che diventi un dovere, un po’ come avviene quando si riceve un regalo da un parente e ci si sente in obbligo di ricambiare. Sono ovviamente sfumature ma sono fondamentali. Qual è dunque l’importanza del dono nella nostra società contemporanea?
Come fondatore del Social Street ho un punto privilegiato di osservazione degli oltre 300 gruppi in Italia. All’inizio pensavo che le social street potessero essere un modo per veicolare la Sharing Economy, per attivare una sorta di economia locale, magari basata sullo scambio. In realtà questa componente è marginale mentre è preponderante la parte della gratuità. Cosa spinge Alessandra a offrire casa sua per un mese a Cristina, la vicina alla quale ha preso fuoco l’appartamento, senza farsi pagare? Perché Nives apre la sua cucina agli abitanti del suo quartiere per insegnare gratuitamente a fare la sfoglia? O perché Anna che chiede aiuto ai vicini per montare un mobile Ikea offrendo in cambio lezioni di chitarra, alla fine ottiene subito assistenza ma non le viene chiesta la lezione? Ho riflettuto molto sul perché dell’agire con queste dinamiche e analizzando lo sviluppo delle social street mi sono reso conto che così facendo la relazione viene tenuta “aperta”.
In tutte le forme economiche la relazione si chiude in qualche modo: con i soldi, lo scambio o il baratto, ma è comunque chiusa. Quando invece il dono è disinteressato, la relazione rimane appunto “aperta”. Questo regalo ha un valore molto alto, serve a rafforzare il senso di comunità e a sentirsi parte di qualcosa. Riscopriamo valori ancestrali come il saluto, l’abbraccio, sapere che se ci capita qualcosa la nostra comunità non resterà indifferente. Se ci pensiamo bene è il meccanismo che regola tante piccole realtà in Africa.
Social Street in realtà non ha inventato niente di nuovo, semmai ha riscoperto l’importanza dell’appartenenza all’interno delle città che, a differenza dei piccoli paesi, sono più multietniche e varie. Creare appartenenza in questi contesti ad alta mobilità è molto complicato perché subentra la diffidenza, mentre le social street stanno tentando di costruire la fiducia, che richiede però molto tempo e dedizione.
Ovviamente non ci si deve illudere che queste forme di economia alternativa possano sostituire l’economia portante sulla quale si basa la nostra società, però sia la Sharing Economy che le varie esperienze che hanno alla base il dono possono dare il proprio contributo culturale affinché le persone e le future generazioni riescano ad approcciarsi in modo diverso alla realtà che ci circonda.