I leader delle aziende su Twitter? Ecco perché devono esserci (e perché sarebbe meglio di no…)
Essere o non essere su Twitter? Questo è il dilemma, direbbe un Amleto 2.0. Da un lato sembra impossibile non esserci, dall’altro siamo tutti consapevoli della necessità di farlo con grande attenzione. Il dibattito è ancora molto aperto, amplificato dai media di vario genere e profilo pronti a mettere in piazza ogni errore grammaticale, improperia o gossip scovato presso i profili di politici e vip italiani. Esistono pure divertenti classifiche che danno adito allo spirito competitivo dei nostri vip, come quella di @PubblicoDelirio.
Quello che ci interessa capire è se ha senso che i leader delle aziende siano presenti, o meno, su Twitter.
Ogni volta che io twitto un contenuto ricordo quanto mi disse (a proposito di sé) un mio capo di diversi anni fa: «Chi ha visibilità non ha potere». Sarà di questa opinione Marchionne, che ha deciso di non avere un proprio profilo su Twitter? Eppure lui in Twitter c’è già, e molto: sono circa 4.000 i tweet al mese che lo riguardano e che formano la sua identità digitale, anche se non da lui gestita.
Altri personaggi legati al mondo economico e imprenditoriale italiano si stanno comportando in maniera differente: sono pochi, ma qualcuno sta sperimentando la gestione del proprio essere pubblico, alternando comunicazioni professionali a quelle più di matrice personale, costruendo nei social media un profilo più “leggero” ed emotivo di quanto sia quello che emerge dai media tradizionali. Per esempio il profilo di Renzo Rosso, con circa 45mila follower in tutto il mondo.
Allora dove sta la giusta misura? Dobbiamo avere o no un profilo sui social network, se siamo leader d’azienda o vogliamo essere un punto di riferimento presso la nostra – grande o piccola – cerchia di connessioni di business? Non vi sono risposte univoche, ma valutazioni da fare per darsi una propria risposta. Intanto occorre capire se siamo già presenti o meno nel web, citati da altri. Se sì, converrebbe partecipare alla conversazione per gestire la propria reputazione, rispondendo ai tweet più rilevanti o comunque dando ai follower una chiara idea di noi stessi.
Occorre, infatti, essere consapevoli che la nostra assenza in un contesto in cui si parla di noi (e lo sappiamo) è comunque un messaggio. È questo l’intento di Marchionne? Di certo, la risposta «Non ho tempo per queste cose» non vale, o al massimo vale fino a quando non scoppia un caso che in rete coinvolge il nostro nome.
E una volta che si decide di aprire un proprio profilo? Be’, bisogna esserci per davvero. Che ci piaccia o no a livello politico, il lavoro che Matteo Renzi sta facendo sui social è davvero incredibile. Si guardi al barometro sui leader politici europei per comprendere la magnitudine (twittitudine?) del nostro premier a livello internazionale: per lunghi periodi è stato il leader politico più twittato (e più twittante) in assoluto.
E i leader d’azienda, allora, tornando alla nostra domanda iniziale, dovrebbero o no avere un proprio profilo? La mia opinione è che dovrebbero, per sé e per l’azienda che sono chiamati a rappresentare. Avere una voce istituzionale nella conversazione di Twitter è estremamente importante, perché è un canale di comunicazione oggi essenziale per dialogare con – o anche semplicemente per inviare messaggi a – i propri stakeholders, clienti finali o membri della community finanziaria che siano.
Allora la questione non è più se esserci o meno, ma come. Qual è il ruolo che la nostra azienda ha presso la community? Qual è il ruolo che noi , AD o manager di queste stesse aziende, vogliamo e dobbiamo avere perché questo accada? Questo è il punto: utilizzare Twitter e i social media in generale per comunicare se stessi e la propria azienda secondo una linea strategica, non a casaccio.
Non cediamo, quindi, alla facile scappatoia di credere Twitter come un canale per chi ha poco da fare, per narcisi o per giovincelli: è invece uno strumento fondamentale del nostro lavoro, seppur da maneggiare con cautela, ovvero secondo gli obiettivi che ci siamo dati, al fine di costruire valore relazionale con i nostri interlocutori più importanti. Tuttavia, si può già dire che sono davvero pochi i leader economici e industriali italiani che hanno un proprio profilo: tra il 5 e il 7%, secondo un’indagine a cui sto lavorando, tra le aziende italiane più importanti per fatturato e reputazione mondiale. Pensate sia corretto per le loro aziende e per se stessi?