Le news di domani? Tutte in una pillola da prendere a colazione
L’evoluzione del genere umano si fonda su un processo senza il quale il concetto stesso di progresso viene meno: il trasferimento della conoscenza. Partendo dalla tradizione orale, fino ai moderni eBook, è stato tutto un fiorire di strumenti per trasferire quello che abbiamo imparato alle generazioni a venire.
Tuttavia trasferire la conoscenza è un processo straordinariamente inefficiente. Ancora oggi l’unità minima di trasferimento di conoscenza è sostanzialmente il libro. Ovvero qualcosa di scritto, letto, memorizzato. Già la scrittura di per se rappresenta una prima importante approssimazione del pensiero. La lettura introduce una ulteriore approssimazione dovuta alle interpretazioni. La memorizzazione alla fine è di base drammaticamente lacunosa.
Il risultato quindi è che per imparare davvero dall’esperienza di altri occorrono letture su letture, faticose memorizzazioni e soprattutto esercizio di ciò che si è appreso per consolidarlo davvero in esperienza nostra. Ci sono però delle interessanti novità. Recentemente un team di ricercatori provenienti dagli HRL Laboratories in California ha condotto alcuni esperimenti in cui hanno misurato le onde cerebrali dei piloti mentre si esercitavano a una missione col simulatore di volo ed hanno isolato i segnali che hanno creduto corrispondessero ad alcune distinte abilità.
Quindi hanno selezionato un gruppo di volontari che hanno eseguito la medesima missione simulata. A una parte di loro sono stati forniti dei caschetti con elettrodi in grado di indurre le medesime onde cerebrali rilevate nel cervello dei professionisti. Agli altri invece è stata fatta eseguire la missione senza alcuna manipolazione.
Sorprendentemente i ricercatori hanno misurato che i piloti che avevano ricevuto le stimolazioni hanno eseguito molto meglio alcuni dei compiti previsti dalla missione rispetto a quelli del gruppo senza elettrodi: in particolare il 33% di successo in più nel complesso dei test. È ovvio che imparare a volare in cinque secondi come in Matrix non sia ancora una realtà, tuttavia lo studio è stato pubblicato su Frontiers in Human Neuroscience e sarà oggetto dei consueti rigorosi controlli della comunità scientifica. È interessante notare come si aprano interessanti prospettive per migliorare (di molto) il nostro più antico (ed indispensabile) processo per generare progresso.
Senza considerare che Nicholas Negroponte, fondatore del MIT Media Lab, sul palco del 30° anniversario del Ted a Vancouver ha previsto che tra 30 anni saremo letteralmente in grado di “ingerire” informazioni. Una volta che le informazioni sono nel sangue, un qualche tipo di meccanismo, ad esempio basato sulla nano-tecnologia, potrebbe portare le informazioni nel cervello costruendo l’insieme di sinapsi profonde necessarie per rappresentare la conoscenza.
La previsione di Negroponte ha più fondamento nella realtà di quello che probabilmente ci si aspetta. Gli scienziati possono già vedere le molecole di formazione della memoria che si uniscono nel cervello come una rappresentazione fisica delle nuove conoscenze. Inoltre sono già definiti più che ragionevoli legami tra la fisica quantistica e le teorie della coscienza che suggeriscono che alcuni principi quantistici, come l’entanglement ad esempio, possono aiutare a spiegare il modo in cui noi impariamo e ricordiamo le cose.
In questo contesto le ipotetiche “pillole di conoscenza” di Negroponte avrebbero solo bisogno di essere espresse secondo i dettami della fisica quantistica applicata. Ci sarà un giorno in cui potremo prendere una pillola per imparare l’inglese, le opere del Manzoni e la cucina di Bottura.
Però la cucina di Bottura è meglio non sperimentarla in pillole…