Le nanotecnologie ci aiuteranno a creare un vero mondo sostenibile
Francesco Stellacci è uno degli scienziati italiani più famosi nel mondo per le sue ricerche sugli antivirali e non solo. Ha insegnato all’MIT di Boston ed attualmente dirige il dipartimento di nanomateriali al Politecnico di Losanna. Le sue ricerche potrebbero conferire un significato diverso alla parola sostenibilità.
Durante il Covid si è parlato spesso di lei per le sue ricerche in merito alla creazione di antivirali che possano sconfiggere non solo il Covid ma Ebola e tanti altri virus, in cosa consiste il suo lavoro?
Con il mio gruppo abbiamo creato delle molecole che imitano gli zuccheri che si trovano sulla membrana cellulare. In questo modo inganniamo il virus che perde i punti di “aggancio” che hanno per attaccarsi alle vere cellule
Una specie di cavallo di troia dunque.
Non solo. La cosa importante delle molecole che abbiamo sviluppato, è che dopo che si attaccano al virus, sono capaci di romperlo, di danneggiarlo in modo irreversibile.
A che punto siamo con la ricerca?
Stiamo ultimando i test sui topi con successo, dopo faremo dei test su animali più grandi e successivamente dovremo svolgere test di tossicità preclinica. Solo a quel punto potremo passare ai test sull’uomo e contiamo di farlo nel giro di due anni. Sarebbe la svolta per combattere i virus.
Quali scenari si configurerebbero se la sua ricerca andasse in porto?
La mia idea è quella di creare un antivirale che sia l’equivalente della penicillina. Quando ho un’infezione batterica prendo degli antibiotici, ne esistono molti, la penicillina è il più comune e meno costoso. Questo è il mio sogno, avere uno o più farmaci che coprono classi diverse di virus e renderli accessibili a tutti anche nei paesi in via di sviluppo.
Quindi mi sta dicendo che nel giro di qualche anno anche un raffreddore potrà essere curato?
Tecnicamente sì però bisogna stare attenti a non esagerare. Abbiamo visto cosa succede con l’abuso di utilizzo di antibiotici, si creano dei batteri super resistenti quindi allo stesso modo bisognerà impiegarli solo quando necessari.
Lei lavora anche sulla ricerca di materiali diciamo “intelligenti” che potrebbero risolvere molti problemi legati alla sostenibilità. Oggi facciamo fatica a capire cosa sia veramente sostenibile perché viviamo di abbagli. Nel 2050 forse saremo in grado di avere energia illimitata con la fusione nucleare e quindi produrre a prezzi più bassi ma che impatto avrà tutto questo sul pianeta? Oggi non usiamo più la carta per mandare lettere ma inviamo miliardi di e-mail al giorno. Milioni di server in funzione hanno un impatto ambientale minore di quanti alberi tagliati? Come facciamo a capire cosa è veramente sostenibile?
La sostenibilità, in questo momento, ha quattro tronconi principali che vanno affrontati tutti insieme. Uno è l’energia e questo probabilmente verrà risolto con la fusione nucleare, forse dopo il 2050. Però ci sono altre tre bastioni della sostenibilità. Il cibo: dobbiamo avere abbastanza cibo per nutrire la popolazione. L’altro è l’acqua, dobbiamo avere abbastanza acqua pulita e potabile. Infine, i materiali, per creare oggetti perchè serviranno sempre più materie prime. Il problema dell’energia potrebbe essere risolto con la fusione nucleare ma gli altri tre problemi rimangono. Un’energia infinita non fa aumentare la terra coltivabile, non crea nuova acqua.
E le materie prime non sono infinite…
Esattamente. In futuro saremo costretti a cercare i minerali nelle discariche, si parla di urban mining, perché non avremo più materiali a disposizione. Il problema della sostenibilità non si risolve affrontando solo uno dei quattro problemi. Alcuni di essi si scontrano con il fatto che la terra ha una dimensione finita, mentre la popolazione nel mondo continua a crescere anche perché la tecnologia migliora, perché l’economia migliora, ad un certo punto ci sarà uno scontro fra queste realtà. Quando questo scontro arriverà bisognerà accettare che alcune cose andranno limitate e bisognerà cambiare modello economico.
Torniamo ai materiali. Lei si occupa di ricerche sulle plastiche “naturali”. In futuro il problema della sostenibilità potrebbe essere risolto con materiali che si riparano da soli, come fa il nostro corpo. La natura può essere un modello da imitare?
La natura i materiali li bilancia in modo molto intelligente. Esiste un tempo di sintesi, di creazione del materiale e un tempo di uso e degradazione tutto bilanciato. Prendiamo un albero, può metterci cento anni per crescere, vivrà cento anni e degraderà in altri cento anni. Le foglie ci mettono una stagione a crescere (primavera), sono in uno per una stagione (estate) e si degradano in autunno. Questo è molto comune, la vita umana prima della medicina moderna era di circa cinquant’anni, le ossa umane ci mettono venticinque anni a crescere, venticinque anni a funzionare e venticinque anni a degradarsi.
Però noi non siamo in simbiosi con la natura se usiamo oggetti monouso che impieghiamo per dieci minuti ma occorrono cento anni per degradarli come un bicchiere di plastica
Esatto, qui sta il problema. La natura ha esempi di utilizzo “monodose”. Prendiamo la famosa farfalla che da bruco diventa farfalla vive un giorno o poco più e poi muore e si degrada velocemente
Qual è il trucco?
Il trucco è che questi materiali sono proteici, cioè fatti di proteine. Le proteine sono dei polimeri, cioè plastiche. Noi quando mangiamo delle proteine e poi le digeriamo, spezziamo le proteine nei loro componenti principali, gli aminoacidi. Successivamente i ribosomi rimettono insieme questi acidi per creare la proteina di cui abbiamo bisogno in quel momento.
Mi fa un esempio?
Quando mangiamo l’insalata, il nostro corpo spezza quella proteina e la ricompone in una proteina che in quel momento serve al corpo per alimentare il cervello ad esempio. Quindi il mio sogno è quello di imparare dalla natura, dovremmo prendere questa lezione e creare delle plastiche che si possono digerire cioè degradare tutte insieme e dalla miscela creare qualcosa di diverso
A che punto siamo?
Siamo a cent’anni di solitudine (sorride, n.d.r.). Scherzi a parte, per ora riusciamo a replicare questo processo su piccola scala, in laboratorio. L’idea è cercare di fare questa cosa su scale biologiche più grandi.