Le aziende capaci di fare marketing digitale creano conversazioni e relazioni online (e solo dopo vendono)
Nel mio post precedente, analizzando l’importanza dell’opinione dei consumatori per le aziende e le organizzazioni di oggi, ho introdotto un nuovo modello di consumatore: maggiormente informato, attento alle proprie scelte e in grado di orientare i propri comportamenti di acquisto e di consumo secondo quanto letto in Rete.
In questo mutato equilibrio di potere, dove al brand non è più sufficiente l’acquisto di uno spazio pubblicitario per convincere il proprio cliente che “due fustini di detersivo qualunque sono peggio di uno della propria marca”, si rende necessario un ripensamento delle logiche di comunicazione, marketing e pubblicità verso modelli più trasparenti, partecipati e collaborativi.
Alzi la mano chi, almeno una volta nella vita, non si è affidato a una recensione letta in Rete per scegliere un albergo, un ristorante o anche solo un banale prodotto dal valore di poche decine di euro. È evidente: la Rete sta sempre più modellando i nostri comportamenti e influenzando le nostre scelte.
Un esempio su tutti che chiarifichi in modo più puntuale il fenomeno di cui stiamo parlando: il settore dell’automotive, fortemente influenzato da questo nuovo modo di comunicare e d’intendere la relazione tra clienti e brand. Una recente ricerca di Deloitte mette in luce come la generation-Y sia condizionata nell’acquisto di un veicolo dall’opinione dei pari e dalla brand reputation dell’azienda in Rete.
Oggi più che mai per le aziende che intendono seriamente affrontare la rivoluzione digitale e beneficiare dalla trasformazione del proprio modo di lavorare riuscendo a capitalizzare il massimo del valore possibile, si rende necessaria una strategia impostata sull’ascolto prima dell’azione.
Esistono, in questo senso, strategie e processi di social media listening e web monitoring che prevedono tool e approcci che consentono di monitorare la Rete alla ricerca delle conversazioni dei consumatori, identificando i trend, i messaggi più interessanti, gli influencer che parlano e orientano la discussione sul nostro brand (da coinvolgere e ingaggiare in successive strategie di marketing mirato), lo share of voice (la “quota di mercato” che abbiamo online rispetto i competitor e rispetto ai canali digitali), il sentiment delle conversazioni sui nostri prodotti, i legami con i competitor, con il percepito del cliente e molto altro.
In questa stessa direzione sono nate – negli ultimi anni – aziende che si sono specializzate nell’analisi delle conversazioni in Rete e ne hanno fatto il proprio core business lavorando con multinazionali di primaria importanza, due nomi su tutte: Radian6 di Salesforce e Sysomos.
Qualche caso concreto di aziende che usano questi processi?
Telecom Italia per esempio è dotata di una monitoring room attraverso la quale traccia tutte le conversazioni in Rete e ridefinisce la propria offerta e i propri prodotti in modo dinamico per seguire le esigenze e le idee dei clienti. Kimberly-Clark invece utilizza il monitoraggio ricorsivo delle conversazioni come alternativa ai focus group per avere una idea maggiormente specifica sui suoi prodotti direttamente dalla viva voce dei propri clienti, avendo accesso a molti più dati rispetto al passato e a molte più informazioni di valore allo stesso modo. Comcast presta moltissima attenzione alla voce del cliente come strumento per migliorare la propria presenza in Rete e la propria offerta sul mercato: il monitoraggio delle discussioni online diviene una delle leve principali per ripensare la strategia di comunicazione e di marketing dell’azienda.
In sintesi: in un mondo digitale in cui il cliente è in grado di essere il protagonista della partita, alle aziende non resta che creare il contesto di valore necessario per farlo “giocare” al meglio. Il valore di mercato di oggi è in chi è in grado di creare relazioni e conversazioni prima che di vendere prodotti o servizi.