La nostra professione è la nostra storia, troviamo le parole giuste per raccontarla
Come è possibile dare un nome alla propria professione se è nuova, oppure è inserita in un settore nato da pochi mesi, oppure ancora se deve coincidere con un’attività costruita su se stessi, come fosse una propria impresa? Questi sono solo alcuni dei percorsi che ci impone un nuovo mondo del lavoro, che cambia velocemente. Ma quanto nuovo? Due dati da considerare:
- Da uno studio americano, nemmeno troppo recente, emerge che entro il 2020 il 40% dell’intera forza lavoro (USA) sarà composta da freelance
- Il 72% dei millennials, la forza lavoro del futuro, ambisce a diventare il datore di lavoro di se stesso
Attraverso la disintermediazione tecnologica, ogni professionista può mettersi in gioco da solo, senza le strutture produttive, distributive, lavorative tradizionali. Può farsi trovare dal proprio mercato in maniera del tutto indipendente, attraverso un blog personale, una mini pagina web ricca di informazioni, e anche quando la propria professione è comune e inflazionata, può decidere di inserirsi in uno di quelli che oggi si chiamano marketplace, aspettando di farsi trovare da chi vi entra per cercare fornitori, come sta facendo di recente la start up Polipy nel settore del marketing digitale.
Trova il nome come fossi un’azienda
Ma in un mercato in cui sono tutti contro tutti, com’è possibile distinguersi? È possibile farsi trovare dicendo al mondo del lavoro io sono il migliore oppure solo io faccio questa attività? Prima della presenza del web e dei motori di ricerca ci era impossibile bypassare le strutture che selezionano i professionisti. Oggi invece si può, e trovare un nome per la propria professione non è più importante solo per una semplice questione di brand, ma per un motivo statistico.
La parola giusta per il proprio settore
Le imprese cercano i professionisti, su Linkedin o su altri marketplace professionali, attraverso dei semplici tag come quelli che usiamo per fare le nostre ricerche personali. E se le professioni nuove spuntano come funghi, è fondamentale aggiornarle e non scrivere più solo IT manager ma Cloud Software Developer, non più solo statistico ma Data Analyst. Le imprese più desiderose di innovare – e quindi, con buone probabilità, anche di investire e cercare collaboratori e consulenti – oggi sono a caccia di professionisti legati ai settori che in qualche modo sono i mantra (specifici) del momento: Big Data, Manufacturing 4.0, Circular Economy, 3D Printing, Cloud Computing.
Una volta inseriti nello specifico canale di settore (tag) corretto, come è possibile gestire l’employee branding nel modo migliore? Nonostante le funzioni aziendali stiano cambiando rispetto al passato, ciò che non cambia sono i criteri con cui le imprese scelgono i professionisti.
Trovato un nome originale, perché magari di nicchia, al proprio mestiere, la competizione si gioca ancora tutta sui campi di una volta:
- che si faccia il business transformator, lo smart curator, il personal reader, il visual data designer, l’autorevolezza data dalla qualità e dai successi personali è la miglior parola in grado di far parlare di noi
- il verbo dei clienti, il loro passaparola, resta il miglior veicolo per il nostro track record
- i professionisti con cui si ha lavorato sono i primi “generatori di autorevolezza” e valore del proprio brand personale, anche quando si è professionisti indipendenti. È stato così in tutti i settori, dal calcio, in cui la maggior parte degli uomini che hanno giocato per Arrigo Sacchi sono diventati ottimi allenatori, così come nell’economia, dove gli uomini che hanno lavorato accanto al Ministro Franco Reviglio hanno tutti poi occupato posti di rilievo. Ed è così oggi, per esempio, nel mondo delle start up, per chi ha lavorato in Rocket Internet.
Che ci muoviamo sui social network, o nel mondo reale, dietro alle parole che raccontano le nostre professioni ci sono sempre storie vere, di persone e di qualità professionali ed umane, e prima ancora che il brand, sono queste a dover esser messe in circolo.