La Business Intelligence come strumento di conoscenza e crescita aziendale
È possibile gestire la propria conoscenza in materia professionale, una volta finiti gli studi, sulla linea di quell’apprendimento permanente che il Trattato di Lisbona definì Lifelong-Learning? Oggi, oltre che essere una possibilità, sembra una necessità concreta, e le vie migliori per soddisfarla sono sicuramente quelle degli studi verticali, le specializzazioni. Dagli MBA (a proposito, servono?) fino ai corsi Executive, per ogni fascia di prezzo e variabile di tempo a disposizione ci sono corsi per tutti i gusti e le età, che possono estendere la conoscenza della propria professione o di uno specifico campo richiesto, in un dato momento, percorso o progetto di lavoro.
C’è però un’altra fonte di sapere, che pesca direttamente nel mare magnum di Internet, il luogo in cui ogni soggetto dotato di sapere, o meno, può scaricare – e prelevare – quantità di conoscenza a piacimento, vera, falsa o presunta che sia. Dannoso o innocuo, violento o pacifico, rivoluzionario o conservatore, il sapere conservato sul web è immenso, e questa immensità diventata un problema, prima che un’opportunità, per chi per primo ha sempre gestito le informazioni in tempo reale: il giornalismo. Una parziale soluzione si è trovata: per il sapere di tipo informativo e giornalistico si comincia a parlare di coloro che realizzano curation o addirittura di smart curation (ne ha parlato su Centodieci Cristina Maccarrone in questo articolo), come i primi esempi di nuovi intermediari che mettono a disposizione la propria conoscenza, la loro capacità di scelta e selezione, per filtrare la grande abbondanza del web.
Questa nuova forma di (re)intermediazione è molto efficace, può essere coniugata on demand (secondo precise scelte dei lettori) e addirittura sulla base di argomenti ben definiti anche se la sua gestione è strettamente connessa al tempo, poiché fatte cento le notizie che il web potenzialmente dà ogni giorno attraverso tutti i mezzi (giornali, social network, social media, TV, ecc.) la curation attraverso un personal reader me lo fa risparmiare riducendole a dieci, ad esempio.
Questo è solo uno dei possibili metodi con cui affidarsi a nuovi intermediari per gestire gli input che ci arrivano dalla rete e renderli utili. Ce n’è uno ancora più evoluto, che può gestire un livello di conoscenza ancora meno generalista e diffusa, ma più professionale. Si potrebbe infatti definire Own Business Intelligence (OBI) quel processo con cui, sempre più professionisti sono in grado di filtrare e selezionare tutti i contenuti prodotti e rilasciati sul web, che sono di loro stretta utilità.
Se infatti la Business Intelligence è molto generalmente una pratica con cui un’azienda estrae (spesso da se stessa) dati e informazioni sul proprio mercato e la propria attività, e li rende quindi utili alla propria evoluzione, l’OBI è identica, ma è realizzata da un singolo manager e sempre più spesso sul web. Con qualcosa di più casalingo dell’OSINT (Open Source Intelligence), ma non meno di qualità, è possibile reperire in autonomia molte informazioni che riguardano evoluzioni recenti dei mercati di consumo, analisi sugli scenari finanziari, concreti casi di studio legati a precisi business, prospettive inerenti i nuovi business. Iscriversi a newsletter di grandi aziende di consulenza come Boston Consulting, o ricevere il McKinsey Quarterly, o reperire la ricerca più recente di EY o di PWC, o gli insights di Bain – materiali spesso realizzati nel corso di grandi lavori di consulenza poi rilasciati parzialmente o integralmente sul web – consente di seguire uno dei più semplici e immediati percorsi connessi alla conoscenza, quello di collezionare e accumulare concetti.
Oggi il web, come in un grande archivio di una biblioteca, ci consente di sceglierli e riceverli quando vogliamo e con un’affinità ai nostri gusti sempre maggiore. Quante volte ci siamo sentiti dire che «Il web è una grande spazzatura» in cui ognuno scarica ciò che vuole. Vero o no, un dato è certo: il web è il grande regno dell’abbondanza, in cui ci sono anche molte miniere d’oro. Trovarle, senza intermediari e senza aiuto è possibile, anche se è sempre più difficile, ed è quasi una professione.