JP Morgan ha più sviluppatori di Google? È l’Internet of Service. Of Equity. Of Credit
Un’illusione accomuna molti settori economici: dopo la crisi si tornerà a consumare come prima. Si sta invece scoprendo che qualcosa è cambiato, in maniera irreversibile. Non si consumerà più come prima, per quantità di risorse, tempo, spazio ed energie impiegate. Questa rivoluzione definitiva coinvolge, a due vie, imprese e consumatori e tocca anche i servizi finanziari. Ma come?
Se la banca JP Morgan ha più sviluppatori software di Google, vuol dire che il primo fattore evolutivo è la tecnologia. Il web raggiunge oggi la sua massima espressione con l’Internet of things, ma c’è anche un Internet of service, fenomeno per cui sempre più servizi offerti dagli istituti di credito sono pervasi, e cambiati irreversibilmente, dall’ingrediente web. Bonifici, depositi, gestione dei conti correnti sono usuali operazioni bancarie che il cliente pretende di effettuare sempre più in maniera diretta, in tempi – e costi – brevi, semplici e senza spostarsi da casa o con il telefonino.
C’è anche un Internet of equity. Come chiamare altrimenti il fenomeno del crowdfunding, con cui privati decidono di partecipare a un’attività di impresa, raccogliendo denaro attraverso Internet? Questo consente di disintermediare non gli sportelli bancari, quanto la capacità della banca di raccogliere soldi freschi per finanziare, o meglio condividere il rischio, un’attività economica privata (e non solo).
Per il risparmio gestito il percorso è graduale ma identico. Si prendano gli Usa, in cui il 74% degli investitori affluent (con un patrimonio di 100mila dollari) usa i social network per capire che tipo di investimento fare, anche se non ha ancora un rapporto attivo, via web, con l’assett manager.
Che dire invece della più antica ragione d’esistenza delle banche, quella del prestare soldi, benché non sia più la primaria fonte di ricavi per gli istituti? Anche qui c’è qualcosa di nuovo, laddove è possibile parlare di un Internet of credit, per descrivere processi di “finanziamento” alternativi al percorso bancario conosciuto fino ad oggi. Con il social lending, infatti, si è trovato un sistema con cui i privati fanno prestiti ai privati, incontrandosi in rete.
Le principali attività bancarie stanno così mutando forma, con indubbi miglioramenti positivi. Un esempio lampante arriva dall’India, dove McKinsey calcola che le tecnologie applicate ai servizi finanziari migliorano la produttività e porteranno più alti profitti ai cittadini, con una dimensione valoriale che entro il 2025 potrebbe portare al sistema tra i 32 ed i 140 miliardi di dollari l’anno aggiuntivi.
Costi più bassi per banche e cittadini, e meno dispersione nei pagamenti e nei trasferimenti, significano anche meno dipendenti. «O cambiano, o muoiono – ha detto di recente Gianluca Dettori, italiano noto nel mondo globale delle startup – il problema è strutturale. Pagamenti online, conti correnti cui si accede dagli smartphone… le banche, se non si svegliano, si troveranno addosso una struttura pesantissima, fatta di migliaia di filiali e migliaia di dipendenti».
Disintermediazione competitiva e cambiamenti tecnologici stressano le strutture ancora pesanti e le dimensioni eccessive di chi deve rispondere alla domanda di velocità dei clienti, e di leggerezza dei risultati di fine anno.
Le difficoltà oggettive da affrontare sono tante ma la prima resta l’impossibilità di sostituire l’uomo con la macchina quando c’è da valutare il merito del credito e gli assett – soprattutto quelli intangibili – dell’impresa.