Intervista a Roberto Carraro, tra gli ideatori del primo Metaborgo italiano
Ad Albaredo per San Marco, in Valtellina, è nato il primo borgo visitabile nel Metaverso: «Abbiamo cercato di ricreare l'anima del borgo attraverso l'innovazione digitale».
Sabato 3 giugno ha aperto al pubblico il primo Metaborgo italiano. Il progetto, sviluppato da Carraro Lab nel comune di Albaredo per San Marco, in Valtellina (in provincia di Sondrio), consente di visitare il borgo in maniera innovativa, sia in loco, con dei visori 3D per viaggiare nel tempo e nei luoghi del borgo, sia da remoto, online. Presentato anche allo European Tourism Day come case history di Meta Tourism, propone soluzioni e format come il museo pervasivo, il sito web immersivo e la gamification turistica e culturale. Per capire meglio di cosa si tratta, di come funziona e di quali sono i suoi possibili sviluppi, ne abbiamo parlato con uno dei protagonisti nello sviluppo del Metaborgo: Roberto Carraro, professore di Linguaggi immersivi all’Accademia di Brera, imprenditore digitale e socio di Carraro Lab, che si occupa di game e innovation design.
Come nasce l’idea del Metaborgo?
«Il Metaverso è una sfida tecnologica che ha aperto a molti sviluppi, tutti però alla ricerca d’autore: avere un mondo parallelo al nostro, ma virtuale, non è qualcosa di utile in quanto tale, ma deve avere un senso. Come designer italiani del Metaverso ci siamo concentrati su quel senso. Ci siamo chiesti a cosa potesse servire un mondo parallelo quando visiti un borgo, concludendo che dovesse essere complementare. Tu puoi visitare fisicamente un borgo, ma non sempre ne percepisci l’anima: ecco, noi abbiamo cercato di mettere l’anima, quindi la sua storia, le sue leggende, i suoi valori, gli elementi naturali».
Come funziona?
«Il nostro Metaverso funziona con più device, sui visori 3D, sui tablet, sugli smartphone: ci sono una serie di porte che conducono dalle vie del borgo in questo universo parallelo. Attraverso QR code sparsi in vari punti di Albaredo per San Marco (12 in tutto), i visitatori entrano nel Metaverso e scoprono un aspetto di quel punto, di quel luogo».
Riesce a farci degli esempi concreti?
«Nella piazza si vede che era dedicata al passaggio di mercanti veneziani, scoprendo quindi quanto il ruolo del borgo fosse strategico. I visitatori possono scoprire la lavorazione del granturco valtellinese in un antico mulino, oppure vedere com’era una volta il ghiacciaio. Abbiamo creato inoltre una forma di gamification, perché il percorso è un gioco con delle domande e, rispondendo a queste, le persone scoprono una parola finale. Il premio è un passaporto del borgo».
Come possono partecipare le persone?
«O a distanza, quindi online, ma soprattutto direttamente ad Albaredo attraverso i QR code. Qui i contenuti sono fruibili con dei visori professionali ma anche con altri di realtà virtuale semplificata, venduti a 5 euro nel bar del borgo, che permettono comunque una visione immersiva del tutto».
Quanto è stato difficile svilupparlo a livello tecnologico?
«Il Metaverso è un po’ la nostra specialità, perché lavoriamo nel mondo della realtà virtuale sin dai suoi inizi, negli anni ’90: facciamo ricostruzioni 3D, rilievi foto e video a 360 gradi, quindi la sfida del Metaborgo è stata un invito a nozze per noi. Pensi che per il vicino borgo di Buglio abbiamo ricreato la battaglia partigiana combattuta il 16 luglio 1944».
Come avete fatto?
«Abbiamo ricostruito la battaglia in studio con delle comparse, dopo uno studio accurato delle situazioni, dei vestiti e delle armi usate dai tedeschi e dai partigiani. Abbiamo inscenato i vari momenti con un green screen e poi li abbiamo collocati nel punto del borgo dove è avvenuto il fatto. È talmente realistico che nella fucilazione sembra ti sparino addosso».
In che modo questa tecnologia può aiutare i piccoli borghi italiani?
«Il nostro Metaborgo è finalizzato alla fruizione turistica, quindi intende il borgo come destinazione. Nelle città spesso ci sono delle attrazioni specifiche (musei, monumenti, parchi), mentre nel borgo non sempre, quindi la sfida era creare degli attrattori digitali per recuperare dei valori non immediatamente percepibili. In realtà poi il nostro progetto recupera l’identità del borgo, la sua storia, rivolgendosi quindi anche agli abitanti. Nel costruire il Metaborgo abbiamo coinvolto gli abitanti, i testimoni più anziani, il gruppo folkloristico locale per ricostruire le scene. Abbiamo coinvolto la gente del borgo a raccontare se stessa, a costruire una sua narrazione».
Non c’è il rischio che diventi un’attrazione più per la tecnologia in sé che per quello che rappresenta? E in generale, quali sono i possibili impatti negativi del Metaborgo?
«Il fatto è che le componenti di carattere ludico sono tipiche già dei borghi rigenerati storicamente, per esempio il tema del turismo invernale e degli impianti sciistici ha snaturato molti borghi, trasformandoli in destinazioni turistiche. Bisogna quindi sicuramente considerare l’impatto del turismo stesso, però sono convinto che, rispetto ad altre forme turistiche, quella virtuale sia quella con il minor impatto sullo snaturamento, perché il borgo resta uguale: noi non costruiamo niente».
Quanto è scalabile questo progetto?
«È scalabilissimo. Di recente sono arrivate molte risorse per rigenerare i borghi, focalizzandosi sulla trasformazione digitale per innovare l’offerta del territorio, e questo format è già stato presentato a livello europeo. Certo, dipende dall’identità del borgo, a volte bisogna concentrarsi più sulla componente naturalistica, a volte su quella storica, letteraria o enogastronomica. La sfida è costruire un’esperienza turistica inclusiva, una partita intellettuale da giocare sul posto».
Che futuro vede, quindi, per i borghi italiani?
«Noi proponiamo una visione presente e futura dei borghi. L’idea che oggi i borghi italiani siano luoghi fuori dal mondo in cui si vive nel passato è scorretta, anzi oggi si comincia a vedere nei borghi persone che fanno lavori attuali, giovani che scelgono la vita di borgo per lavorare da remoto. Non possiamo ricostruire l’economia di sopravvivenza del passato per rigenerare i borghi, ma dobbiamo pensare a un borgo nuovo, ripopolato da gente nuova con nuove modalità di vita, che porti nel borgo qualcosa di vivo. Come tutte le cose, il borgo evolve: la sfida è ripopolarlo, ma compatibilmente con la vita contemporanea. Il rapporto tra digitale e borghi in questo senso può essere una strada importante».