Innovabilità, la sola strada percorribile verso il futuro
Eh signora mia, le cose purtroppo non durano più come una volta… per non parlare delle mezze stagioni, che non ci sono più, e di quanto stessimo meglio quando stavamo peggio! C’è soltanto nostalgia in questi vecchi adagi o, davvero, la strada che stiamo percorrendo verso l’innovazione non è quella giusta?
Da quando si è iniziato a parlare di sostenibilità, alla fine degli anni ‘80 del secolo scorso, l’idea che la strada verso il futuro che l’umanità sta percorrendo non sia quella giusta si è lentamente diffusa, anche tra i più scettici. Oggi, finalmente e dopo una trentina d’anni di tentennamenti e “depistaggi”, abbiamo capito che non c’è vera innovazione senza sostenibilità e che, parafrasando Henry Ford, c’è vero progresso solo quando i vantaggi dell’innovazione sono per tutti e non ipotecano il futuro della biosfera e dell’umanità.
Ecco perché sempre più si parla di innovabilità: un percorso virtuoso che parte dalla disponibilità dei singoli ad adottare stili e modelli di vita sostenibili e arriva fino alle aziende, ad ogni tipo di organizzazione e più in alto agli Stati e alle loro aggregazioni e consessi. Ma cosa significa fare innovabilità? Si tratta di uno dei troppi mash-up linguistici ad effetto o c’è davvero il seme di una nuova civiltà, dentro questo neologismo?
Cosa significa perseguire l’innovabilità
L’essere umano, prima ancora che di cellule, è fatto di ambizione, curiosità, desiderio e di perenne inclinazione al cambiamento, che quotidianamente si scontra con la fisiologica esigenza di equilibrio e di stabilità. Sono queste caratteristiche che hanno reso l’uomo la specie dominante sul Pianeta, ma al tempo stesso la sola in grado di influire così tanto sulla biosfera da mettere in pericolo l’ambiente, tutti gli esseri viventi, quella che chiamiamo civiltà e addirittura l’umanità stessa.
Dal remoto momento in cui la nostra evoluzione biologica ha iniziato ad essere affiancata da quella tecnologica, l’impatto della nostra presenza sulla Terra è stato sempre più pesante e sempre meno sostenibile per la biosfera, fino al punto di arrivare alla soglia di una possibile catastrofe ecologica, che metterebbe in discussione il futuro della civiltà umana e forse addirittura la sua sopravvivenza, insieme a quella di molte altre specie.
Invertire la rotta non è affatto semplice. All’alba del terzo millennio siamo in bilico tra due macrocategorie di scenari: gli avanzamenti tecnologici dei prossimi decenni potranno infatti salvarci o seppellirci e questo dipenderà dall’apporto concreto di tutti e di ciascuno.
Fare innovabilità significherà pertanto portare l’umanità ad un salto evolutivo rapidissimo e ben coordinato, per evitare che quella che oggi chiamiamo transizione ecologica si concretizzi forzatamente in un salto nel buio (nel senso letterale del termine) e in un processo involutivo che potrebbe portarci indietro di secoli.
Se questo non avverrà e se, al contrario, tra qualche decina di anni lo zaino e l’impronta ecologica dell’umanità saranno tornati ad essere sostenibili, come lo sono stati per molti millenni, ciò si dovrà ad un corretto utilizzo delle tecnologie e all’adesione di tutti e di ciascuno ad un nuovo modello di sviluppo e al sistema che tale modello avrà generato, di cui oggi iniziamo ad intravedere i prodromi.
Belle parole, ma si possono davvero realizzare?
Ovviamente cambiare un modello e ribaltare lo stile di vita di miliardi di persone è decisamente un’impresa titanica. Una di quelle imprese che soltanto l’improrogabilità e l’emergenza possono costringere l’umanità ad intraprendere, ma la drammatica parentesi pandemica, che stiamo ancora affrontando, ci insegna che non tutti gli allarmi sono destinati a rimanere soltanto teorici e che anche un minuscolo virus può mettere in discussione una civiltà avanzata, come la nostra ha la pretesa di essere.
L’enorme crisi che oggi affrontiamo non è però la causa prima e ultima delle minacce alla nostra civiltà. Molti sostengono che essa sia la manifestazione di cause ben più importanti e che le voragini generate da questa crisi non saranno comunque ripianabili, una volta sconfitta la Pandemia.
Sarà questa la molla che farà scattare il grande cambiamento che non possiamo più rimandare e che ci garantirà un futuro davvero sostenibile? Quello che sappiamo per certo è che la parentesi pandemica non ha abbattuto le emissioni di sostanze inquinanti nell’aria, nell’acqua e nel suolo, ma sta sensibilmente riducendo i nostri spostamenti, sta bloccando molte delle nostre attività e sta modificando alcune delle nostre abitudini d’acquisto. Troppo poco per parlare di un nuovo modello e di nuovi stili di vita, ma in quest’anno abbondante di rinunce e privazioni forzate, dovremmo aver capito che non esistono cambiamenti impossibili e che ciascuno di noi può riprogettare la propria esistenza in tempi rapidi e senza eccessivi traumi. Ciò che dobbiamo comprendere, tuttavia, è che la strada verso l’innovabilità non è fatta esclusivamente o principalmente di rinunce, ma di nuovi paradigmi e di riprogettazione.
Ovviamente affinché ciò avvenga sono necessarie sin d’ora politiche sociali in grado di sostenere gli individui e le aziende che ora stanno subendo questa grande transizione. Persone e organizzazioni che stanno rischiando in prima persona di disgregarsi, di finire in povertà e di essere ancor più parte del problema che tutti noi contribuiamo a complicare. Questo è l’esatto contrario di una transizione sostenibile, perché l’equità sociale è il presupposto fondamentale della sostenibilità, non una sua conseguenza, ed è questa la sfida più grande che la nostra civiltà dovrà affrontare.
FONTI/LINK:
“Rapporto Brundtland”, pubblicato nel 1987 dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo (WCED) e più noto come “Our Common Future” – https://it.wikipedia.org/wiki/Rapporto_Brundtland.
Gli indicatori di sostenibilità – https://www.wwf.it/il_pianeta/sostenibilita/il_wwf_per_una_cultura_della_sostenibilita/perche_e_importante2/gli_indicatori_di_sostenibilita_/