Il territorio multilayer: cronache di un turismo sostenibile
Dall’avvento del 5G ci si attende una grande esplosione di “sensori IoT” e, da questi, un bagaglio di informazioni ed interazioni in grado di trasformare, potenzialmente, l’esperienza del nostro quotidiano.
Aggregatori di conoscenza puntuale e geolocalizzata, i nostri device saranno in grado di “accogliere” la voce dell’ambiente costruito, che sarà in grado di declinare le storie e le narrazioni del territorio secondo gli interessi registrati dagli stessi device.
Una tale infrastruttura va oltre il concetto di turismo sostenibile: è l’opportunità per “veicolare” un nuovo senso di “appartenenza sostenibile” tra i cittadini. Una narrazione del quotidiano che sia in grado di infondere, nelle persone, quell’insieme di conoscenze che ogni “pietra” dei nostri piccoli e grandi centri urbani, è in grado di raccontare.
Una potenzialità, tuttavia, che va introdotta e sviluppata all’interno di una strategia territoriale consapevole dei limiti della tecnologia, e dei pattern di consumo culturale.
Il territorio multi-layer
Quando si affronta il tema dell’interazione, a mezzo digitale, tra territorio e “essere umani”, si è infatti spesso soliti introdursi in un modello di pensiero che, pur se implicitamente, suppone una correlazione lineare tra la disponibilità di informazioni e la fruizione delle stesse.
Sebbene questo concetto, una volta esplicitato, palesi istantaneamente la propria debolezza, è quello che in fondo si afferma quando si sostiene che rendere disponibili online contenuti teatrali possa favorirne la fruizione, o quando si afferma che la creazione di software di interazione basati su protocolli IoT trasformeranno le modalità con cui viviamo e percepiamo il territorio.
Senza scomodare l’avanzamento tecnologico, tuttavia, noi già viviamo in un territorio “multi-layer”: alcuni di tali livelli sono accessibili soltanto a patto di disporre delle dovute conoscenze e chiavi interpretative, come coloro che riconoscono a colpo d’occhio il periodo di costruzione di un determinato edificio storico, o come chi dalla peculiare modalità di costruzione di un ponte o di un’opera di ingegneria civile, riesce ad avere un’idea della società che l’ha prodotta e di cui oggi resta testimonianza.
Scimmiottando il lessico che è ormai divenuto “informatico”, si tratta di contenuti “criptati”, perché per leggerli bisogna possederne le chiavi di lettura. In questo caso, l’utilizzo delle tecnologie IoT e la capacità di “divulgare” i messaggi taciti delle nostre città attraverso tecniche di narrazione, pur non agendo esattamente da strumenti di “decodifica” sicuramente consentiranno alle persone di accedere a contenuti altrimenti a loro inaccessibili.
Accanto a questi specifici livelli di lettura, tuttavia, ce ne sono altri che sono però immediatamente accessibili a tutti, ma cui non tutte le persone decidono di accedere. Prendiamo ad esempio il nome delle nostre strade: quanti di noi conoscono realmente la “storia” che è dietro ad ogni “nome” riportato sulle strade del proprio quartiere?
Eppure basterebbe inquadrare con il proprio smartphone la segnaletica, far riconoscere a Google Lens o ad altro strumento analogo il testo, e vederne i risultati.
Dal turismo sostenibile alla cittadinanza sostenibile
È per questo che la sola “disponibilità” non basta. Né tantomeno è sufficiente l’accessibilità (che ne rappresenta, in qualche modo, l’equivalente funzionale contemporaneo).
Ed è per questo che è dunque necessario riflettere sulle modalità attraverso le quali fare in modo che i contenuti vengano “accolti” dai cittadini.
Tale evidenza, per quanto possa apparire scontata, è tutt’altro che banale: essa riflette l’errore sistemico che la nostra “cultura” ha reiterato con tutte le nuove tecnologie.
Se ci si limita a “tradurre” un’offerta di modo che essa possa essere fruita attraverso nuovi protocolli, non si fa altro che fornire nuove modalità fruitive a quelle persone che, in assenza del nuovo protocollo, ne avrebbero fruito ugualmente.
Se realmente si intende “coinvolgere”, “stimolare”, “partecipare”, è allora necessario definire un insieme di strumenti (tecnologici e non tecnologici) che permettano da un lato la comprensione degli interessi dei cittadini e dall’altro siano in grado anche di “guidare” i cittadini alla scoperta di nuovi stimoli che potrebbero coinvolgerli.
È questa la sfida che deve essere affrontata in una logica di sviluppo di fruizione territoriale sostenibile. Ed è una sfida ancora tutta “umana”.
Oggi, anche i sistemi più evoluti di interpretazione dei gusti online, sono strutturati secondo una logica “specializzata”: i film che consiglia Netflix o Amazon Prime sono film “affini” a quanto abbiamo già visto.
I libri e i prodotti correlati, sono sempre basati su una somiglianza: in alcuni casi è contenutistica, in altri casi è funzionale, in altri ancora è statistica (gli utenti che hanno scelto questo prodotto hanno comprato anche…).
Ragionando in questo modo, tuttavia, si finisce con il settorializzare gli interessi, e questo approccio, in una logica territoriale, inibisce e reprime sensibilmente la “curiosità” verso il “diverso”.
Calando questa riflessione all’interno della fruizione del territorio, quindi, questa tipologia di strumenti risulta funzionale per una tipologia di turismo “mordi e fuggi”: statisticamente è facile immaginare che dei turisti che arrivano per la prima volta a Roma e rimangono in città per un solo giorno, si dirigano nella quasi totalità dei casi alla visita del Colosseo.
È meno “prevedibile”, invece, stabilire cosa possa interessare ad un cittadino che vive e attraversa la propria città.
Eppure, riuscire a definire una politica di “turismo sostenibile” che abbia come target gli stessi cittadini del territorio, consentirebbe senza dubbio alcuno di poter valorizzare l’eterogeneità del territorio, e riflettersi anche in un’esperienza più ricca per i turisti veri e propri.
Più che “engagement”, “cultural empowerment”
Adottando questa prospettiva, quindi, risulta chiaro che l’avvento dell’IoT potrà essere realmente “abilitante” soltanto nel momento in cui, grazie anche all’analisi dei dati di fruizione, e delle altre informazioni che l’uso dell’IoT potrà rendere accessibili all’Amministrazione (o al privato che agisce per conto della stessa), le strategie di sviluppo culturale si pongano un obiettivo ben più ambizioso dell’ormai in voga “engagement”, ma che sviluppino “pattern” di fruizione che siano in grado di sviluppare un vero e proprio “cultural empowerment” nei cittadini.
La capacità di gestire informazioni complesse, dati provenienti da fonti estremamente eterogenee, l’interpretazione dei consumi culturali, dovranno essere così posti in relazione con le possibilità in termini di “output” che tali tecnologie consentono di sfruttare.
Perché se l’intera strategia culturale del nostro Paese sarà limitata a creare audioguide che “partono in automatico”, di “innovativo” ci sarà soltanto l’aspetto tecnologico.