Il nuovo paradigma dell’economia circolare
Il Ministero della Transizione Ecologica ha reso noto di essere al lavoro sulla nuova programmazione in merito all’economia circolare, le cui ultime linee guida risalgono al 2017.
Nel mio nuovo libro, appena uscito per Lupetti, Il nuovo paradigma, sottolineo come fino adesso è stato sottovalutato l’impatto delle attività umane sull’ambiente, che è invece una delle principali concause della crisi attuale. Non abbiamo più possibilità di errore, l’evoluzione delle città devono basarsi su una sostenibilità totale dove sia fondamentale anche la responsabilità individuale, in quanto ciascuno di noi è indispensabile co-autore di qualunque strategia di sviluppo sostenibile che si aspiri a realizzare concretamente.
Le comunità devono essere sempre più autosufficienti, il futuro andrà verso le cosiddette energy community, come ci dice Edison, player leader nel settore energetico in Italia, che attraverso l’utilizzo razionale delle risorse, combinato con la valorizzazione dei territori, creeranno modelli di autonomia energetica basati sull’autoproduzione e sull’economia circolare, consentendo così alle comunità locali maggiore competitività e resilienza in caso di crisi.
Un primato che rende merito all’Italia, ma si può e si deve fare meglio.
Il Circular economy network (Cen) del 2021, il rapporto che analizza gli indici di performance sull’economia circolare dei cinque principali paesi europei, mostra l’Italia, rispetto al 2020, stabile al primo posto davanti alla Francia, esaminando i risultati raggiunti nell’ambito della produzione, del consumo, della gestione circolare dei rifiuti oltre che degli investimenti e dell’occupazione nel riciclo, nella riparazione e nel riutilizzo. Ma questo non deve farci dormire sonni profondi, perché ancora tanta è la strada da intraprendere, soprattutto se vogliamo che l’economia circolare si inserisca in un discorso più ampio di città e comunità davvero smart.
Più dialogo tra regioni e nelle scuole
Il passaggio verso un’economia sempre più circolare passa inevitabilmente attraverso i programmi regionali e delle singole città. È per questo che occorre andare a definire un linguaggio comune, un ecosistema integrato fra le regioni che le faccia dialogare in un’unica direzione e cioè quella della valorizzazione energetica del nostro territorio.
Tanti sono i progetti di economia circolare che nascono nelle scuole italiane e con essi una vera e propria educazione allo sviluppo sostenibile se si vuole rendere i cittadini sempre più consapevoli e concretamente attivi nei confronti del contesto ambientale e territoriale che si vive. Per citarne uno su tutti, “Ri-creazione. Da oggetto a rifiuto e ritorno” è il progetto di educazione ambientale promosso da Sei Toscana: «Sei Toscana è sempre più impegnata sui temi dello sviluppo sostenibile» spiega il presidente di Sei Toscana, Alessandro Fabbrini «convinta di voler fare la propria parte per contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell’Agenda 2030 definita dalle Nazioni Unite. Non solo attraverso lo svolgimento dei servizi ambientali, ma anche coinvolgendo a più livelli i cittadini e, come in questo caso, essendo di supporto al sistema formativo-scolastico del territorio. L’obiettivo è di offrire ai ragazzi sempre nuovi spunti di riflessione su queste tematiche, integrando il prezioso lavoro svolto in classe dagli insegnanti».
Come si stanno organizzando intanto le aziende italiane?
Diverse sono le aziende virtuose in Italia che stanno investendo in economia circolare rendendo davvero efficace il concetto di sostenibilità.
Dei cosiddetti scarti alimentare che venivano precedente buttati dalle industrie, oggi, se ne fa un uso mirato e vengono valorizzati per essere trasformati in energia. La Mutti con il riciclo dei suoi rifiuti alimentari, la Loacker con i gusci delle nocciole, la Doria con le bucce, Amadori con i sottoprodotti della macellazione, la Callipo con gli scarti del tonno sono solo degli esempi di come ciò che negli anni passati veniva considerato rifiuto oggi diventa il primo prodotto per un nuovo utilizzo nella bioenergetica, nella fertilizzazione, nel gas metano. Una circolarità che davvero può cambiare le sorti del nostro pianeta.
Globalizzazione sì, ma intelligente
È questa la globalizzazione intelligente che porta benefici in termini di benessere, passando dal sostenere consumi alimentari più consapevoli (la spesa a kilometro zero nel negozio sotto casa), al produrre e condividere energia, arrivando a creare delle comunità energetiche, dove il cittadino, le imprese locali, gli esperti di energia e le stesse istituzioni locali riprendono in mano la gestione del proprio modo di consumare e produrre energia.