Il turismo in Antartide è l’ultima frontiera della nostra incapacità di rispettare la natura
Da migliaia di anni gli esseri umani sono affascinati dall’idea di scoprire nuovi luoghi, guidati dalla curiosità, dal desiderio di conoscenza ma anche di potere, dall’avidità. Se già tra 65 e 50mila anni fa i primi uomini erano riusciti a raggiungere l’Australia, un’impresa leggendaria favorita da una glaciazione ma anche dalla costruzione di natanti di fortuna, la zona più a Sud del mondo, l’Antartide, è rimasta per migliaia di anni solo ipotizzata, immaginata, sfiorata. Aristotele riteneva che, essendoci una zona fredda a Nord del Pianeta, ce ne dovesse essere una equivalente a Sud, mentre Tolomeo sulle mappe della sua Geografia aveva disegnato, all’altezza del 20° parallelo, una vasta Terra Incognita. Abbiamo dovuto aspettare l’inizio del secolo scorso per conquistare anche l’ultimo continente rimasto ignoto all’essere umano: tra il 1910 e il 1912 una spedizione guidata dall’esploratore norvegese Roald Amundsen raggiunge il Polo Sud.
L’Antartide come luogo di ricerca scientifica
Da quel momento, l’Antartide a differenza degli altri continenti è rimasto un luogo meta solamente di scienziati e studiosi, che all’estremo del mondo possono studiare la vita del Pianeta in condizioni uniche. Sono nate quindi fondamentali stazioni di ricerca, da cui gli esperti possono studiare il clima, l’andamento del continente e quello dei mari. Attraverso il carotaggio (l’estrazione di blocchi di ghiaccio) dei ghiacciai e delle calotte polari, si riesce infatti ad analizzare il cambiamento climatico, osservando la composizione dell’aria nel corso del tempo.
Il turismo in Antartide
Negli ultimi anni, però, la stessa (sconsiderata?) ambizione che sta portando diversi miliardari a lanciarsi in imprese di turismo spaziale ha spinto sempre più persone ad andare in Antartide per turismo, un fenomeno con conseguenze molto gravi per l’ambiente. Parliamo di un turismo di super-elite, perché un viaggio di una settimana al Polo Sud può costare tranquillamente 50mila euro, però è un fenomeno in aumento. Secondo la Iaato, l’Associazione internazionale dei tour operator dell’Antartide, circa 74mila persone sono andate in Antartide tra il 2019 e il 2020, un aumento del 32% rispetto alla stagione 2018-2019. Affascinate dall’idea di esplorare i confini del mondo, tra surreali paesaggi ghiacciati e una fauna quasi introvabile altrove (pinguini, albatros, foche, orche), questi turisti spesso non sono consapevoli del loro impatto ambientale.
Il nero di carbonio
Un recente studio pubblicato su Nature communications, dal titolo Black carbon footprint of human presence in Antarctica, ha evidenziato livelli sopra la media di black carbon, il nero di carbonio (o nerofumo), un mix di polveri finissime di carboni. Questo black carbon, derivante dai combustibili fossili emessi da navi e aerei che trasportano i viaggiatori in Antartide, scurisce la neve e il ghiaccio presenti e ne accelera i tempi di scioglimento (già velocizzati dalla grave crisi climatica in corso). I valori sono ormai simili a quelli riscontrati in Groenlandia, dove però il traffico aereo e marittimo è completamente diverso, visto che sulla grande isola artica vivono quasi 60mila persone. Si sta generando quindi un fenomeno per cui l’Antartide si sta trasformando da sito di studio privilegiato della crisi climatica a ennesimo luogo in cui acceleriamo l’emergenza. Forse dovremmo semplicemente accettare che non tutto il Pianeta è a nostra disposizione.