Il trasferimento del sapere tra generazioni rilancia il Paese. Per innovare, apriamo l’officina dei prototipi
Il problema colpisce tutta l’Europa: i dati sulla redditività degli investimenti di venture capital negli USA e nel vecchio continente sono espliciti, con dimensioni inconfrontabili tra i profitti (alti) dei primi e quelli medio-bassi del secondo.
Al di là della propensione al rischio e all’investimento consistente che da noi sinceramente è poco radicata, la differenza sostanziale sta nello stato di sviluppo di una tecnologia quando la si immette su mercato.
Gli investitori europei generalmente investono su tecnologie ancora troppo poco sviluppate, colgono lo spin-off quando non è ancora una start-up, ma nel very very very early stage (scusate l’eccesso di inglesismi ma sono molto chiari). Sempre che ci arrivino, che ne abbiano notizia, perché nella maggior parte dei casi risultati potenzialmente importanti molto spesso finiscono nella cosiddetta valle della morte.
In Italia – da Meucci ad oggi – nulla è cambiato: mancano soldi, persone e strutture per brevettare e soprattutto per trasformare un brevetto in un prototipo.
La dimensione media delle imprese da noi, dove mancano le grandi aziende in grado di fare ricerca e scouting e di ribaltare sul loro indotto innovazioni e risultati di ricerca, rende ancora più difficile il successo di una traduzione industriale dalla ricerca all’impresa.
Oggi brevettare costa molto perché il numero di Paesi in cui coprire la proprietà intellettuale è cresciuto a dismisura (da 3-4 a 18-20), ma anche con un brevetto Europeo, un PCT o addirittura una concessione USA, se ci si presenta davanti a un imprenditore con un foglio di carta normalmente non si suscita alcun interesse.
Trasformare quel foglio e quei bei timbri importanti in un dimostratore è essenziale, irrinunciabile, assolutamente necessario.
In un mondo normale con una ricerca ben finanziata questa fase di primo sviluppo dovrebbe essere coperta all’interno della struttura di ricerca, dove ci sono gli specialisti e le attrezzature utili per fare un buon prototipo di laboratorio. Non si tratta solitamente di interventi molto costosi (50-200.000 euro), ma l’esperienza fatta in alcune organizzazioni (a partire dall’INFM negli Anni Novanta) dimostra che quello genera il vivaio, da lì si può partire naturalmente investendo a fondo perduto, ma allevando anche potenziali imprenditori e tecnici di qualità in grado di proseguire nello sviluppo.
A quel punto, con il prototipo di laboratorio, si può cominciare a parlare con un potenziale partner industriale (che comunque non abbia l’urgenza di entrare immediatamente in produzione) per sviluppare un dimostratore di scala industriale.
Qui sale la dimensione dell’investimento, ma si comincia a intravvedere una possibilità di ritorni futuri, quindi si possono strutturare piani sul futuro sfruttamento della tecnologia.
Da qui, e siamo alla fase tre, può partire il venture capital.
Negli USA le idee arrivano al mercato già in fase due, e comunque esistono dei personaggi – sconosciuti da noi – che in garage investono un po’ anche su idee pazze di fase zero.
In questo momento in cui l’Italia sta affrontando grandi cambiamenti il mio invito è quello di:
- Aiutare le imprese che fanno ricerca e innovazione esclusivamente attraverso sgravi fiscali eliminando bandi a garette nazionali e regionali
- Utilizzare i fondi risparmiati per integrare il finanziamento della ricerca con risorse per lo sviluppo pre-seed
- Costituire fondi pubblico-privati che finanzino la fase intermedia tra il prototipo e il dimostratore industriale, con ritorni in caso di successo che vadano alle organizzazioni di ricerca e ai partner industriali
- Eliminare qualunque forma di finanziamento pubblico ai venture capital che a quel punto possono decidere su basi più concrete sia di tipo industriale che di mercato se perseguire un nuovo progetto investendo risorse proprie. Altrimenti che rischio corrono?
Non si tratta di trovare risorse nuove, ma di rendere più efficienti e trasparenti quelle che ci sono.
Tra l’altro un Paese ricco di signori “Brugola” e di tecnici straordinari come l’Italia potrebbe mettere insieme – in quella che chiamerei l’Officina dei Prototipi – una generazione che ha le mani d’oro e non è per nulla da rottamare con i giovani che hanno certamente conoscenze più specifiche, ma forse meno esperienza pratica. Non scontro generazionale, ma trasferimento prezioso di saperi da una parte all’altra (e viceversa!).
Il progetto si potrebbe intitolare Dalla valle della morte alla valle dell’Eden. Vediamo chi ci sta.