Il teatro in carcere come strumento terapeutico
Il Teatro Nucleo nasce in Argentina nel 1974. È una delle poche compagnie teatrali che praticano una ricerca teatrale basata sull’attore e rivolta a spettatori “non professionisti” nell’ambito psichiatrico e nel carcere. Ne abbiamo parlato con il fondatore, Horacio Czertok.
Può il teatro generare vincoli positivi tra la popolazione del carcere e la città? È quello che si è chiesto tanti anni fa Horacio Czertok fondatore del Teatro Nucleo. La domanda in realtà è retorica perché Horacio conosceva benissimo il potenziale che il teatro poteva offrire alle persone emarginate dalla società. Lo scoprì in modo un po’ strano, mentre faceva il militare in Patagonia grazie a un gruppo di amici. Non aveva la passione per il teatro, bensì per la letteratura e cinema. “Il teatro all’inizio mi sembrava poco autentico, troppa finzione. Solo dopo ho capito come attraverso la finzione si potesse raggiungere l’autenticità” racconta Czertok. Alla fine degli anni ’70 fu costretto a lasciare l’Argentina a causa della dittatura militare che considerava il teatro come una forma di “resistenza” e così arrivò in Italia come rifugiato politico. A Milano iniziò a portare in giro rappresentazioni teatrali per raccontare le atrocità che si stavano commettendo in Argentina visto che la stampa all’epoca raccontava una realtà distorta. Fu nel nostro paese che Horacio incontrò Franco Basaglia promotore dell’omonima legge che portò alla chiusura dei manicomi. “All’epoca i manicomi erano dei lager. Basaglia si interessò al nostro lavoro di aprire i manicomi alla società, raccontare che il malato di mente non è una persona pericolosa”. Horacio venne invitato dallo psichiatra e politico italiano collaboratore di Basaglia, Antoni Slavic, a Ferrara per lavorare insieme alla costruzione di un nuovo paradigma dove il teatro era fondamentale.
La chiusura dei manicomi
Dopo la chiusura dei manicomi il lavoro del Teatro Nucleo non si fermò, l’obiettivo non era cambiato, costruire ponti tra la società e gli emarginati. “Come i manicomi non curavano le persone, allo stesso modo le carceri non riabilitano le persone. Il 70% delle persone che escono dal carcere, commettono di nuovo reati. Se il carcere fosse un’azienda che produce il settanta percento dei prodotti difettosi, avrebbe già chiuso”.
Il 2022 è stato un anno terribile per le carceri italiane, con il record di suicidi di detenuti, ma anche malessere della polizia penitenziaria. “Lavoriamo spesso con il personale delle carceri e molti di loro non hanno una preparazione specifica per gestire situazioni molto complesse”. Ecco che il teatro diventa uno strumento importante a vari livelli. “Con il teatro il detenuto deve lavorare su sé stesso, deve guardarsi dentro, deve imparare a veicolare le proprie emozioni e questo è terapeutico”. Il carcere di Ferrara, dove il teatro Nucleo opera, ospita 340 detenuti e ben 34 persone hanno aderito al progetto. “Sono percentuali alte, pensate se la stessa proporzione della società fuori dal carcere si interessasse al teatro…” (sorride, n.d.r.). La collaborazione con il carcere di Ferrara è iniziata nel 2005 e i risultati sono stati eccellenti tanto da creare una scuola ad hoc per formare operatori teatrali preparati per lavorare in ambito carcerario.
L’efficacia del teatro in carcere
Il detenuto passa da essere considerato un reietto della società, a protagonista della sua vita. Attraverso il teatro ha la possibilità di impersonare una versione diversa di sé stesso rispetto a quella per cui la società lo ha bollato; ma non è solo questo. “È una forma di riscatto anche nei confronti dei familiari. I detenuti hanno la possibilità di mostrare alle proprie famiglie il loro valore”. La rappresentazione teatrale di fine anno nel carcere di Ferrara è stata dedicata ad Antonio Gramsci. “I cittadini ferraresi possono venire in carcere, creiamo legami con la società, è un’esperienza importante per la città”. Accade anche che i detenuti vadano a esibirsi al Teatro Comunale di Ferrara. “La società che ha spinto il detenuto in carcere, lo applaude in teatro, è un messaggio molto forte”. In questi diciassette anni Horacio Czertok ha vissuto storie bellissime raccontate nel libro “Libertà vo’ cercando” con la prefazione del costituzionalista Andrea Pugiotto (edizioni Seb27).
“Mi ricorderò sempre l’incontro con un detenuto cubano che aveva una bellissima voce, ma nessuna cultura musicale” racconta Horacio. “Gli dissi di studiarsi il combattimento di Tancredi e Clorinda di Monteverdi dove Tancredi uccide chi ama senza rendersene conto. Fu una bella esperienza anche perché i detenuti dovevano lavorare in gruppo e in lingue diverse, una sfida. Ora lui è tornato a Cuba ed è una persona rinata”.
Nel 2024 il Teatro Nucleo festeggerà cinquant’anni di attività. Il successo del Teatro Nucleo non si è limitato ai confini italiani, Quijote, l’opera di Cervantes, ha viaggiato in diciotto paesi e in più di trecento città. In tutti questi anni la cosa che rende più orgoglioso il regista argentino è quella di aver creato un coordinamento tra varie carceri affinché l’esperienza ferrarese non rimanga isolata. “Per chiudere le carceri, bisogna prima aprirle”.