Il paradiso perduto della tecnologia
Il mondo delle Big Tech è crollato sotto i colpi di migliaia di licenziamenti. Ma ora sono i manager e i tecnici di alto profilo a fuggire da una crisi che sembra irreversibile. E che ha come centro del mondo San Francisco, una città che sta diventando fantasma.
Il paradiso della tecnologia sembra perduto. Anni di rivoluzione del lavoro, impiegati in maglietta e computer, sedi trasformate in piccole Disneyland per i momenti di relax, smart working come esaltazione della vita privata. Insomma: una nuova era, durata il tempo di una decade corsa all’impazzata.
Poi, all’improvviso, la pandemia, e quindi la crisi: sotto il tappeto delle BigTech è riapparsa la polvere nascosta. E a farne le spese migliaia di persone che in quel paradiso avevano creduto. Dall’inizio dell’anno i conti sono impietosi: Google ha licenziato 12mila persone, Amazon 18mila, Meta 11mila, Microsoft 10mila, Salesforce 8mila, Twitter 4mila. E poi ci sono Disney (7mila dipendenti) a ruota Tesla, Netflix, Robin Hood, Snap, Coinbase, Ibm, PayPal, Zoom e Spotify. Un totale di 2mila persone al giorno cancellate con una mail. Fuori gli scatoloni, fuori dall’Eden. Che ora comincia a perdere anche chi ha le chiavi.
Taiwan a corto di ingegneri
La storia di Royale Lee è stata raccontata dal New York Times, ed è emblematica. Vive a Taiwan, è un ingegnere della TMSC, la più importante azienda di semiconduttori al mondo, quella che fornisce insomma i microchip ai prodotti digitali del pianeta. Lee è come Mister Wolf, risolve problemi, i nostri in pratica.
Dopo 5 anni passati a rispondere al telefono 24 ore su 24 in cambio di uno stipendio intorno ai 100mila dollari l’anno, ha deciso che fosse il caso di tornare a vivere. E con lui lo hanno fatto altri talenti dell’azienda, stufi di continuare ad alimentare l’ingordigia digitale del mondo e di perdere nel frattempo pezzi di esistenza.
L’altra faccia della Mela
Cupertino, dall’altra parte del mondo. Pete Distat ha annunciato le sue dimissioni: è il responsabile dei servizi TV della Mela, dell’app Apple TV+ insomma. È stato il protagonista dell’espansione del servizio, soprattutto grazie ad accordi nel campo sportivo. Ma ora ha deciso di lasciare l’azienda più ricca del mondo per dedicarsi ad altro. Succede, ma è anche il terzo manager a mollare Tim Cook negli ultimi mesi, dopo il capo del business dei servizi Peter Stern e il capo dei servizi cloud Michael Abbott. Solo un caso? Forse.
Fuga da San Francisco
Forse la risposta è a San Francisco, la città che del Nuovo Mondo tech è diventata il centro. Anni di corsa folle al rialzo, prezzi delle case alle stelle, Big Tech tutte concentrate lì intorno per creare la perfetta combinazione tra uomo e macchina. Poi il Covid e lo smart working hanno messo in crisi il modello. A fine 2022 un sondaggio condotto da Joint venture e dal Silicon Valley institute, ha rivelato che il 56% degli abitanti della Silicon Valley ha rivelato di lasciare la zona «nei prossimi anni». Con una percentuale ancora più alta per i residenti in età lavorativa, col 59% degli adulti di età compresa tra 18 e 64 anni pronti con le valigie.Solo 5 mesi dopo l’esodo è cominciato, la vita può essere più dolce altrove se si può lavorare da lontano. E nel frattempo la Silicon Valley Bank, quella che ha retto il gioco in questi anni di incredibile follia, è crollata. San Francisco così è rimasta sola, ostaggio dei senzatetto, migliaia, di bande e delinquenti, del giro della droga. È rimasta un simbolo, ma di una rivoluzione al contrario, anche se qualcuno pensa sia ancora reversibile, che la città comunque sia ancora un paradiso. Eppure tutto, alla fine, sembra perduto. E forse per sempre.