I segreti del successo su Youtube e sui social, spiegati da un esperto di comunicazione
Nel libro Youtube Freak Show, Stefano Brilli dell’Università di Urbino svela i meccanismi (segreti) del successo sui social e Youtube. Che è meno scontato di quanto appaia…
Cosa spinge milioni di persone nella rete di un influencer o a restare ipnotizzati da uno youtuber? Perché sui social siamo attratti da personaggi che nella vita reale ci guarderemmo bene dal frequentare? Per scoprirlo non resta che leggere Youtube Freak Show, libro del ricercatore Stefano Brilli, pubblicato da Franco Angeli. Un libro necessario, perché traccia – forse per la prima volta – la linea che conduce dai freak show di fine ‘800 alla videosfera nella quale siamo immersi. Ma anche un saggio appassionante come un romanzo, dove l’autore riesce a mettere assieme Michel Foucault e “Saluta Antonio”.
Professor Brilli, nel suo libro lei traccia una breve, ma interessante storia della follia. Il freak show che trionfa oggi sui social e di cui parla nel titolo è figlio di quella storia o è una cosa nuova?
Il termine “freak” ha subito molti cambiamenti nel tempo. Il freak show originale, sviluppatosi principalmente negli Stati Uniti tra ‘800 e ‘900, era sì incentrato su forme di discriminazione, ma il pubblico vi assisteva più con un senso di sorpresa o meraviglia che per deridere il freak. Tuttavia, oggi il termine “freak show” è spesso associato alla messa in ridicolo. Ma c’è anche una somiglianza nella costruzione di questi fenomeni: sia nel passato che oggi, gli individui vengono trasformati in “freak” attraverso un processo in cui il pubblico li riduce a estensioni della loro particolarità e, allo stesso tempo, li raggruppa in un unico insieme di differenze utilizzando varie etichette, come ad esempio il “trash”.
Nel libro affronta un fenomeno affascinante riguardo all’evoluzione del concetto di celebrità. Un tempo, le celebrities apparivano come figure eteree e perfette, quasi inaccessibili. Oggi, tuttavia, sembra che per essere amati e avere successo, le celebrità debbano mostrare il loro lato umano e vulnerabile, talvolta esponendo anche dettagli intimi della loro vita privata. Come è avvenuta questa trasformazione?
La trasformazione del concetto di celebrità ha una lunga storia ed è legata all’evoluzione dell’industria dei media e dei suoi pubblici. Non ha avuto origine con internet, piuttosto con il cambiamento dell’immagine delle celebrità da divi ultraterreni a bersagli dello sdegno e del ridicolo. Dagli anni ‘80 in poi, il fenomeno si è intensificato, e l’avvento del web ha permesso la creazione di celebrità basate in primis su emozioni negative come l’odio, il disprezzo e la derisione. Tuttavia, anche le celebrità più tradizionali e gli influencer di successo devono utilizzare strategie per mostrare il loro lato umano e depotenziare la propria immagine.
È un fenomeno moderno?
Non interamente, poiché può essere paragonato al concetto di “sprezzatura” introdotto da Baldassare Castiglione ne Il Cortegiano. La sprezzatura consisteva nel mostrarsi disinvolti e distaccati in pubblico, senza enfatizzare le proprie abilità o successi. Nell’attuale panorama delle celebrità, da un lato abbiamo influencer il cui modello di business si basa su un’immagine di ordinarietà, mentre dall’altro anche le celebrità più classiche incorporano elementi di ordinarietà nella loro immagine per schivare il risentimento. In questo modo, il loro status di famosi appare più accessibile e meno eccezionale, permettendo loro di mantenere la loro posizione in vista, ma dissimulandone il privilegio.
Mostrare i propri difetti, (fingere di) non prendersi troppo sul serio è dunque uno degli elementi costitutivi delle celebrità al giorno d’oggi?
Sì, mostrare i propri difetti e non prendersi troppo sul serio sono diventati elementi costitutivi delle celebrità moderne. Già negli anni ’60, Umberto Eco nella Fenomenologia di Mike Buongiorno aveva notato l’emergere di una nuova classe di celebrità proveniente dalla televisione, caratterizzata da un sentimento di simpatia e vicinanza piuttosto che di devozione. Questo modello è ancora presente oggi e si è evoluto ulteriormente.
Un esempio è la narrazione comune nei libri degli youtuber, in cui l’autore sottolinea il suo successo sui social media come un caso quasi fortuito e accessibile a tutti. Nel 2018, ho raccolto e letto circa una quarantina di questi libri. In quasi tutti il protagonista era descritto come uno “sfigato”. L’autore sottolineava come il suo successo sui social media fosse quasi una casualità e come, grazie alla sua passione e all’amore per il pubblico, fosse riuscito a ottenere risultati sorprendenti, suggerendo che la stessa cosa potrebbe accadere anche al lettore. Esistono anche narrazioni che parlano di successo, mentalità vincente e traguardi raggiunti, ma sempre accompagnate dall’idea che tale successo sia possibile per tutti.
Ci sono personaggi che hanno problemi con la giustizia e promuovono un modello negativo. Nonostante ciò, riescono comunque ad ottenere un incredibile successo, con migliaia di seguaci e persone che li difendono. Come si spiega?
L’ampio seguito di personaggi che si presentano in maniera negativa può essere spiegato in diversi modi. Innanzitutto, esiste un fascino per l’estremo che porta a ricercare un legame parasociale con queste figure del limite. Ci sono anche componenti psicologiche che portano le persone a provare a difendere l’indifendibile come modo di risolvere i propri conflitti interni. Tuttavia, l’alto numero di follower che questi individui attirano non indica necessariamente una mancanza di discernimento tra bene e male. Molte persone seguono questi personaggi “per scherzo”, li usano dentro pratiche di inversione culturale con cui sovvertono momentaneamente le etichette e le estetiche della classe media. Certo esistono anche casi di confusione morale propri del divismo della criminalità estrema, ma sappiamo bene che è un fenomeno che esiste da quando esiste il fuorilegge come figura pubblica.
Dobbiamo abituarci alla celebrità per difetto?
Le trasformazioni nella cultura delle celebrità sono continue e il collegamento tra ridicolo e visibilità evolve nel tempo. Anche se il web di oggi può sembrare pieno di violenza e commenti negativi, è diverso da 10-15 anni fa, quando gli insulti pesanti e le minacce erano molto più comuni. La moderazione è migliorata e le persone sono più capaci di gestire i propri contenuti e moderare i commenti. Inoltre, si è sviluppata un’etica più attenta e diffusa riguardo allo “shaming”. Conoscere la storia dietro un personaggio può depotenziare l’immagine dell’idolo lontano e ridurre il ridicolo associato a loro. Pertanto, ci stiamo adattando a nuove forme di celebrità e di relazione con queste, ma non necessariamente dobbiamo abituarci alla celebrità “per difetto” come se fosse un destino della cultura digitale.
Quale elemento dobbiamo considerare nella cultura della celebrità?
Dobbiamo considerare che viviamo all’interno di una cultura memetica. Lo scherno e la derisione, sia in maniera bonaria che meno, sono diventati elementi comuni del linguaggio, arrivando persino a livello istituzionale. La cultura memetica dell’irriverenza influisce sul modo in cui celebrità e figure pubbliche vengono percepite e sul modo in cui interagiamo con loro, diventando una parte integrante del nostro contesto culturale e sociale.
Vale sempre il detto: “bene o male, purché se ne parli”?
Il detto “bene o male, purché se ne parli” è raramente applicabile in realtà. Sebbene in alcuni casi limitati la pubblicità negativa possa portare una prima visibilità alla persona, nella maggior parte dei casi ne marchia la reputazione e comporta conseguenze negative durature. Quindi, l’effetto della pubblicità negativa dipende da diversi fattori e situazioni, e non è una regola universale.
Stefano Brilli, chi è: ricercatore presso il Dipartimento di Scienze della Comunicazione, Studi Umanistici e Internazionali dell’Università di Urbino Carlo Bo, dove lavora a progetti di ricerca sulle culture digitali e sul pubblico delle arti performative. I suoi interessi di ricerca sono incentrati su irriverenza e celebrità nella cultura digitale, sui pubblici dello spettacolo dal vivo e sulla sociologia delle arti.