Futuro, tecnologia e innovazione non sono sinonimi. La vera origine di una parola che è molto più di una moda
Nell’epoca di Internet, degli smartphone, della robotica e della stampa 3d, è facile confondere l’innovazione con la tecnologia, così come è facile usare il termine innovazione come sinonimo di futuro. Molto spesso trascuriamo invece quanto il tema dell’innovazione prescinda dai nostri raffinati dispositivi, dalle macchine di ogni genere e, soprattutto, non comprendiamo quanto l’innovazione non c’entri solo con il futuro, il nostro prossimo futuro, ma piuttosto sia un valore umano universale, che esiste da sempre, almeno da quando è nato l’uomo.
È proprio lì che vi voglio portare, alle origini della nostra specie, in quell’epoca che a scuola abbiamo imparato a conoscere come Preistoria. Faremo insieme la fatica di tornare così indietro nel tempo perché, in quel tempo profondo, la tecnologia e la scienza (così come la cultura) erano praticamente assenti o presenti in forme davvero molto primitive. Solo sotto queste condizioni, dimostrando che l’innovazione esisteva già, potremo provare che l’uomo, una “scimmia nuda”, è visceralmente legato all’innovazione, a prescindere da scienza e tecnologia.
Non faccio questo lungo viaggio temporale per il gusto di farlo, non lo faccio per l’amore della storia, lo faccio perché oggi, in un mondo in crisi, che deve cambiare in molte delle sue parti fondanti, tutti gli homo sapiens sono chiamati a riscoprire il gusto dell’innovazione che troppo spesso viene relegato all’interno della sola comunità di tecnici e scienziati.
Torniamo indietro dunque e andiamo alla scoperta delle nostre origini di innovatori.
Secondo la teoria de “L’origine unica” (Out of Africa), l’Homo Sapiens è apparso in Africa Orientale (Etiopia) circa 200.000 anni fa e poi, partendo da lì, ha conquistato tutto il pianeta.
Vorrei usare proprio questa irrefrenabile conquista territoriale per avvallare la mia tesi e dimostrare il legame viscerale tra uomo e innovazione.
Potremmo riferirci alle conquiste culturali, tecnologiche o di domesticazione agricola e animale per raccontare il carattere innovativo della nostra specie, ma mi sembra che la conquista geografica, specie in alcuni passaggi, provi più di ogni altro processo la nostra voglia di esplorare e innovare. Che cosa ha spinto l’uomo a percorrere tutto il pianeta, a non fermarsi al conosciuto (avanzando inesorabilmente verso l’ignoto), se non lo spirito di innovazione?
Dall’Africa Orientale, dopo una prima, quasi stanziale e lunghissima fase di circa 130.000 anni, generazione dopo generazione l’uomo ha conquistato tutto il pianeta. È stato calcolato che la sua velocità media di avanzamento nella preistoria è stata di un chilometro all’anno. Questo dato non restituisce tutta l’eroicità della conquista, ma se pensiamo che il percorso è stato compiuto a piedi (spesso nudi) in tutte le direzioni possibili – esattamente come prevede l’innovazione – costruendo villaggi, culture e sfidando ogni tipo di clima (il freddo, il caldo, le glaciazioni) e ogni tipo di ostacolo (mari, monti e fiumi) l’impresa assume le dimensioni di una vera e propria conquista eroica.
Per capire quanta innovazione vi sia in questa azione, troppo poco celebrata, compiuta dai nostri lontani avi, ricordiamo un evento per tutti: in un periodo compreso tra 12.000 e 15.000 anni fa l’uomo, dopo aver conquistato tutta l’Africa, l’Europa e aver percorso tutta l’Asia, approdò in quella che oggi chiamiamo Siberia (in Asia settentrionale) e, attraverso lo stretto di Bering, oggi largo circa 100 chilometri di mare e all’epoca molto probabilmente ricoperto per via della glaciazione di ghiaccio e neve, la Beringia, l’uomo approdò in America (Alaska), dove, poi, in poco più di 5.000 anni conquistò tutto il continente scendendo verso Sud, dando vita a culture come gli Inca e i Maya.
Per chi ama l’innovazione, per chi ama il coraggio, questa antica conquista umana non può che destare rispetto. Il freddo, la neve, l’ignoto e i chilometri che avrebbero potuto spaventare anche noi uomini contemporanei, che con le nostre tecnologie possiamo sfidare condizioni climatiche estreme, non hanno fermato i nostri curiosi e spogli progenitori. Trovo che in queste conquiste senza nomi e senza eroi si nasconda il nostro più profondo rapporto con l’innovazione. Un rapporto diretto con i nostri limiti, dove solo la fantasia e le nostre ambizioni, e non certo scienza e tecnologia, hanno permesso di superarci e trasformarci in quel che siamo.