Le nuove generazioni necessitano di nuovi sistemi educativi. Cosa aspettiamo a innovare?
Generazione Z, millennials, nativi digitali, generazione screenagers, qualsiasi appellativo si voglia dare ai giovani nati nel pieno dell’era di internet, il comun denominare è l’uso quotidiano della tecnologia e dei social media in tutti le reti sociali in cui sono coinvolti.
Già a due anni, la maggior parte dei bambini sa usare un tablet o uno smartphone per i giochi interattivi e crescendo si troverà a interagire con schermi sempre più funzionali che offrono loro stimoli sempre diversi. La scuola e quindi l’educazione, davanti a questo flusso di dati che avanza non può che cercare di adeguarsi perché i paradigmi educativi e scolastici sono fermi al ventesimo secolo, ma ad apprendere ci sono gli studenti del ventunesimo.
A fallire è l’idea di scuola, impostata in maniera classica, accademica, che prevede un ascolto passivo della lezione e delle risposte alle domande che pone il docente, non tenendo conto che a cambiare è il modo di apprendere dei giovani che, come visto, fin dalla tenerissima età, per acquisire conoscenze sono abituati a interagire.
In molte scuole, l’idea del 2.0 coincide con l’installazione delle lavagne luminose multimediali LIM che però non vengono utilizzate per il loro effettivo uso ma solo come proiettori.
I ragazzi, quando iniziano il loro piano formativo, scolastico, educativo, si aspettano di imparare secondo il loro habitat naturale, che sono la rete e i social network ed invece, quasi sempre, si trovano ad assistere a lezioni che reputano noiose, poco coinvolgenti dove memorizzano i concetti per gli esami ma non sono messi nelle condizioni di contestualizzare quello che apprendono.
Ken Robinson, in un suo intervento TED, dice che la scuola uccide la creatività, che stiamo educando le persone escludendole dalla loro capacità creativa. Il sistema educativo è basato sull’idea di abilità accademiche perché fu creato per venire incontro ai fabbisogni industriali.
“I dogmi del tranquillo passato sono inadeguati al burrascoso presente. La situazione è irta di difficoltà e dobbiamo essere all’altezza con la situazione” diceva Abramo Lincoln e così, per Robinson, ciò che deve cambiare è la prospettiva perché l’educazione oggi si rivolge a giovani dell’economia post industriale, non più giovani dell’era fordista.
La scuola è stata profondamente condizionata dalle esigenze della società industriale e si è modellata alla catena di montaggio dell’organizzazione tayloristica del lavoro che prevede, come in una fabbrica, che l’allievo sia un contenuto vuoto da riempire di nozioni.
In un’epoca come la nostra, dove tutto è presente in rete, il solo recepire nozioni non ha più molto senso, occorre che i metodi e la programmazione si adegui a quella che è la realtà vissuta dai nostri giovani.
La rivoluzione da intraprendere è quella di far diventare il sistema educativo come leva di cambio e di trasformazione sociale e un suggerimento per il futuro, sempre secondo Robinson, può essere quello di adottare una nuova concezione di ecologia umana, nella quale cominciare a ricostruire la concezione della ricchezza delle capacità umane, innovare dunque alle fondamenta i sistemi educativi.
Questo vale anche per l’azienda che, se non adegua i suoi processi formativi ai nuovi modelli di business collaboration, per lei sarà molto difficile rimanere sul mercato.