È ora di cambiare e formare nuove figure professionali in grado di competere con il resto del mondo
L’equilibrio è sempre più necessario nel rapporto tra l’uomo e il pianeta, ma anche tra gli uomini stessi, è il punto cardine delle nostre vite nella società attuale ed è anche un argomento che ci consente di spaziare dalla fisica alla chimica, alla filosofia e all’evoluzione umana.
Quest’anno abbiamo dedicato il Festival della Scienza di Genova, arrivato alla sua tredicesima edizione e conclusosi ieri, proprio al tema dell’Equilibrio. Come sempre l’offerta del Festival è stata variegata e mirava a coinvolgere tutti i target della società: laboratori interattivi per le famiglie, conferenze top come quella di Jared Diamond o di Eugenia Cheng, spettacoli e mostre, tra le quali la bellissima “Equilibrium” della Fondazione Ferragamo, e l’anteprima della mostra dedicata ad Enrico Fermi che dopo il test al Festival verrà collocata nel muso di Via Panisperna a Roma.
Per dirla con Masai San, Presidente di Jeol del gruppo Nikon, «Il Festival non è un evento, ma è un sistema». Negli anni sono stati formati più di seimila giovani, insegnando loro a spiegare concetti complessi in maniera semplice, tra questi i vincitori delle tre edizioni italiane di Famelab, il concorso che il British Council ha portato in tutta Europa. Questo significa cambiare il Dna della nuova generazione di ricercatori, che sarà molto più attenta e capace a trasferire nuova conoscenza alla società.
La valenza di questo approccio è enorme: in un Paese come il nostro, caratterizzato dalla presenza frammentata e disorganizzata di piccole imprese – in cui l’innovazione non può quindi percolare dai grandi gruppi industriali come avviene in Germania o in Francia -, è illusorio pensare di raggiungere gli industriali uno per uno e convincerli a fruire della ricerca per innovare i propri prodotti e modelli di business. In questo senso il Festival si dimostra formidabile come attrattore di interesse sociale, quindi anche delle imprese.
Non a caso ogni anno debuttano al Festival nuove idee imprenditoriali e startup di grande rilevanza: quest’anno hanno partecipato Facility Live, lo spin-off pavese che ha realizzato l’algoritmo per ricerche su Internet per inerenza degli argomenti, e Impara, il gruppo nato dall’Università di Genova nel 1998 (uno dei primi spin-off della storia italiana) e oggi attivo a Boston da dove riesce a raggiungere in maniera più efficace il suo mercato.
Dobbiamo chiederci perché bisogna andare negli USA per essere più visibili sul mercato internazionale e ci dobbiamo chiedere cosa possiamo fare per migliorare la situazione di chi resta in Italia mantenendo e sviluppando quindi qui professionalità e valore.
Credo che questo sia il nodo più difficile da sciogliere per aumentare le dimensioni delle nostre nuove imprese: per esperienza so che quello dell’analisi di mercato e del marketing è l’argomento in assoluto più ostico a chi viene dalla ricerca ed evidentemente è difficile anche trovare, sul mercato italiano, professionalità promozionali e commerciali adatte ad affermare prodotti ad alto contenuto tecnologico e di conoscenza.
Questo è un invito alle scuole di business affinché dedichino più impegno a formare nuove figure professionali in grado di farlo. Con gli strumenti della rete infatti oggi non è più necessario essere fisicamente in un posto per raggiungere il proprio target di clienti, si tratta solo di essere adeguatamente preparati a farlo.
Ma c’è un problema grosso e banale oggi in Italia: prima che iniziasse il Festival ho chiesto a 60 studenti liceali che avrebbero fatto un’esperienza di animazione al Festival chi fosse fluent in inglese. Nessuno ha alzato la mano, forse anche per timidezza, ma se domanda analoga si rivolge oggi agli studenti cinesi la risposta è massicciamente positiva. Dobbiamo colmare questo gap subito e bene, pena restare confinati nel nostro piccolo mercato nazionale.
A breve avrà inizio a Shanghai un corso mirato a formare ricercatori e tecnici fornendo loro gli strumenti per migliorare le loro performance nella gestione dei progetti e nella valorizzazione sia culturale che commerciale dei loro risultati: questo significa che dopo anni di pura manifattura il territorio si sta impegnando per supportare i ricercatori nello sviluppo di nuove idee, nuovi prodotti e nuove imprese. Mi viene in mente quando da piccoli dicevamo con disprezzo «questi sono prodotti cinesi» (cioè di plastica) e ora consideriamo la tecnologia cinese come la più affidabile al mondo.