Di Costanzo: “La PA è più digitale, ma la politica deve svecchiare il sistema paese”
Il fondatore di PA Social e della Fondazione Italia Digitale fa il punto sulla digitalizzazione di istituzioni e amministrazioni italiane: “Dobbiamo fare di più sulle competenze e non dimenticare mai il punto di vista del cittadino”.
Se dal Covid-19 conserviamo qualcosa di buono, nonostante una pandemia da milioni di morti, quel qualcosa – oltre ovviamente ai clamorosi progressi medico-scientifici – è rappresentato da un impensabile salto sulla digitalizzazione della popolazione e delle istituzioni. In tutti i campi, incluso il rapporto della pubblica amministrazione con i cittadini, che fra 2020 e 2023 si è enormemente semplificato, snellito e accorciato. Basti pensare che nel solo 2022 sono state attivate oltre 6 milioni di identità Spid e sono state rilasciati oltre 7 milioni di Carte d’identità elettroniche, che a breve diventeranno la chiave unica per il rapporto con le amministrazioni e di recente sono state abilitate a funzionare (quasi) come lo Spid, la cui sorte – nonostante l’estesa adozione – è invece più complicata per via delle indicazioni europee che puntano all’omogeneità di strumenti in tutti i 27 stati membri.
Nel 2022 gli accessi a servizi pubblici tramite Spid, per documenti, pagamenti e operazioni di altro tipo, sono stati oltre un miliardo, mentre le autenticazioni con Cie – tecnicamente un po’ più complesse – hanno comunque raggiunto quota 21 milioni. Senza dimenticare la Carta nazionale dei servizi. Numeri massicci anche per l’applicazione IO dedicata ai servizi pubblici: a fine 2022 i cittadini l’hanno scaricata dai negozi di app come App Store o Play Store oltre 32 milioni di volte, con una media di utenti mensili di oltre 6,5 milioni. E se accelera il ricorso ai pagamenti elettronici attraverso la piattaforma pagoPA integrata anche dentro IO (nel 2022 sono state eseguite circa 332 milioni di transazioni, con un controvalore economico pari ad oltre 61 miliardi di euro) lo scorso anno è definitivamente decollata l’Anagrafe digitale nazionale che ci risparmia tempo e denaro per un gran numero di certificati.
Eppure c’è ancora molto da fare. Bisogna dare un assetto definitivo a questi sistemi in armonia con le indicazioni europee, ma senza sprecare il successo riscosso nella popolazione da soluzioni come Spid, incrementare il numero e la qualità dei servizi disponibili attraverso di essi e soprattutto allineare il mondo (del lavoro, delle professioni, dell’educazione e della formazione) a un nuovo paradigma di relazione con la PA. Dello stato attuale, e del tanto lavoro che c’è da mettere in cantiere, Centodieci ne ha parlato con Francesco Di Costanzo. È il fondatore di PA Social, la prima associazione in Italia dedicata alla comunicazione e informazione digitale di enti e aziende pubbliche, nonché presidente e fondatore di Fondazione Italia Digitale, organizzazione che riunisce una serie di stakeholder pubblici e privati per promuovere i temi dell’innovazione, seguendo lo sviluppo del dibattito in Italia e in Europa.
Qual è la situazione della digitalizzazione della PA italiana: come siamo messi ad esempio rispetto all’Europa?
“Serve sicuramente uno scatto sulla cultura digitale, sulle competenze, sul riconoscimento delle professionalità del digitale, su policy eque, adeguate ed equilibrate per garantire i cittadini e stare al passo con i tempi dell’innovazione. Non abbiamo ancora finito con il lavoro sulle piattaforme digitali, i social network, le chat e siamo già al centro della rivoluzione dell’intelligenza artificiale, del metaverso, di tecnologie che cambieranno e saranno sempre più protagoniste della nostra vita quotidiana. D’altronde i dati ci dicono che 9 cittadini su 10 chiedono un grande Piano di cultura digitale, è ora di correre su questo fronte, anche approfittando dell’anno europeo delle competenze digitali. Dal 2015 a oggi, comunque, sono stati fatti molti passi in avanti da tutti i punti di vista, sia a livello centrale che locale, su infrastrutture, servizi, buone pratiche, anche sulla consapevolezza da parte della pubblica amministrazione, di aziende e cittadini. Gli anni della pandemia hanno sicuramente portato una forte accelerazione sul digitale, chi era già pronto ha registrato ulteriori step di crescita, chi era indietro, anche per necessità, ha rincorso e recuperato terreno. L’indice Desi vede il nostro paese in crescita, stiamo recuperando posizioni, ma sicuramente possiamo e dobbiamo fare molto di più, soprattutto sulle competenze”.
Fra i nostri punti di forza c’è senz’altro Spid: come mai rischia di sparire o comunque di essere integrato in altri meccanismi?
“Partiamo da un punto fondamentale, il digitale funziona se è semplice, sicuro, concreto, alla portata di tutti. L’identità digitale (Spid e Cie), dopo anni di difficoltà e di lavoro, riguarda milioni di persone. Un successo, dovuto anche all’accelerazione del Covid, che non dobbiamo disperdere e su cui vanno costruite ulteriori possibilità per il cittadino e per una PA davvero a portata di smartphone. Spid ha sicuramente raggiunto un’ampia popolarità negli ultimi anni, anche in fasce di popolazione meno abituate a essere digital, questo è l’elemento più importante da salvaguardare. Il governo, come sottolineato spesso dal sottosegretario Butti, ha scelto una strada di semplificazione puntando su un unico strumento, la Cie. Recentemente ci sono state novità positive per i servizi digitali tramite carta d’identità elettronica e il percorso di unione in unico strumento non sarà breve e dovrà sicuramente tenere conto della popolarità raggiunta in questi anni non solo da Spid, ma anche da strumenti come la app IO. Quello che conta di più è avere sempre più servizi, di qualità, di facile utilizzo. Insisto: cultura e popolarità del digitale restano anche su questo un tema centrale”.
Digitalizzazione è anche comunicazione: come comunicano gli enti pubblici italiani? Si è ridotta, almeno in parte, la distanza fra cittadini e istituzioni?
“La comunicazione e informazione pubblica digitale è ormai un asset fondamentale della vita delle nostre amministrazioni, centrali e locali, già nel pre-pandemia avevamo molte buone pratiche in questo settore, negli ultimi anni siamo cresciuti ulteriormente. L’utilizzo delle piattaforme digitali di comunicazione, dai social alle chat, dall’intelligenza artificiale fino alle prime sperimentazioni di metaverso, per il servizio al cittadino è, fortunatamente, ormai una realtà in tutto il paese. Con tantissime buone pratiche che comunicano con qualità e offrono anche dialogo e interazione. Da Facebook a YouTube, da Instagram a Twitter, da LinkedIn alle chat WhatsApp, Telegram, Messenger, da TikTok a Twitch fino a Spotify, agli assistenti virtuali che sfruttano l’intelligenza artificiale, al metaverso applicato agli ospedali, al cyberbullismo, al turismo e cultura: tutto ciò oggi lo troviamo tra ministeri, regioni, comuni, aziende sanitarie, camere di commercio, musei, teatri, aziende di trasporto, idrico, igiene ambientale, energia, enti e aziende pubbliche statali e locali”.
Dovendo fare dei nomi, chi eccelle in termini di digitalizzazione e chi è invece in ritardo?
“Difficile fare dei nomi, ce ne sono veramente tante di realtà di qualità, con una crescita abbastanza generalizzata e senza esagerate differenze territoriali o di tipologia di amministrazione. Siamo pieni di classifiche, spesso parziali. Sul fronte della comunicazione digitale siamo i migliori a livello europeo, non a caso l’Ocse ha citato spesso il ‘modello’ italiano delle buone pratiche di settore, sul fronte digitale a 360 gradi, come detto, resta sicuramente molto da fare, ma il percorso di trasformazione è in corso e siamo sulla buona strada. Chi è in ritardo? La politica. Nonostante l’evidenza di questi anni, una pandemia mondiale, una guerra fortemente digitale, l’innovazione che corre, le risorse che fortunatamente non mancano, Pnrr e non solo, non possiamo ancora contare su un sistema strutturato che possa poggiare sul giusto riconoscimento delle professionalità: il social media manager, o ancora meglio l’esperto in comunicazione e informazione digitale, ancora non esiste nell’ordinamento italiano. Ma che possa contare anche su nuovi modelli organizzativi del lavoro e su una legge di settore adeguata ai tempi. Su questo con l’Associazione PA Social insistiamo da tempo, è arrivato il momento per la politica di tagliare il traguardo, è una riforma per i cittadini, per servizi sempre più di qualità”.
Cosa serve da parte della politica per accelerare la transizione e quando avremo, finalmente, un’identità unica con cui fare praticamente tutto?
“Sull’identità digitale unica, come detto, la strada pare ormai tracciata, ci vorrà un po’ di tempo, anche in linea con il wallet europeo, dobbiamo fare presto e non dimenticarci del punto di vista del cittadino, vera chiave del successo di qualsiasi strumento digitale. Va reso strutturale il cambiamento culturale in corso da anni, la pandemia lo ha accelerato, ora sono gli anni in cui dev’essere realtà quotidiana della PA, delle imprese, del cittadino. Una sfida non facile, ma bella e di grande importanza, con le persone al centro della rivoluzione e della trasformazione digitale. Portiamo il digitale sempre di più nei luoghi della normalità, del quotidiano: nelle piazze, nei supermercati, al mercato, al teatro, nei musei, negli stadi e così via. Anche per questo con Fondazione Italia Digitale organizziamo ogni anno a Torino il Festival del digitale popolare, quest’anno il 7 e 8 ottobre, per dare un contributo al dibattito, mettere insieme istituzioni, imprese, personaggi di vari settori, cittadini e far uscire questo tema così centrale dalla sola sfera degli addetti ai lavori e degli esperti”.