Crisi politica energetica e economia del dono
L’attuale crisi energetica, frutto dell’invasione russa in Ucraina, ci spinge a riflettere anche sul tema della collaborazione, che forse, oggi, è ancora più centrale di quando se ne è parlato la prima volta. Non è possibile affrontare nessun tipo di cambiamento sociale, culturale, governativo, economico, tecnologico se non si creano quel clima e quella identità che danno significato alle iniziative che mettiamo in atto. Sia che si faccia una riforma fiscale, sanitaria o del lavoro, se una comunità non ha una sua identità, tutti questi passaggi rischiano di essere artificiali e di non durare nel tempo. Oggi è molto difficile trovare leadership nuove che abbiano le conoscenze e le capacità per favorire questi cambiamenti: assistiamo a moltissimi modelli di quella che si potrebbe chiamare “autorganizzazione” di fasce significative della popolazione che si sostituiscono a quelli che dovrebbero essere gli organismi di governance, organizzando iniziative concrete a beneficio della popolazione stessa e combinando insieme, come direbbe Clay Shirky, nuove tecnologie e generosità umana. Utilizzando le piattaforme di internet, i social network, ma anche e soprattutto quella economia del dono che i grandi economisti dal nobel Amartya Sen a Muhammad Yunus ci hanno fatto conoscere e apprezzare, e quel senso di comunità che le tecnologie hanno risvegliato in noi in modalità virtuale, ma che oggi sempre più spesso diventano reali e concrete nella risoluzione dei problemi.
Cento anni di economia del dono
Sono trascorsi cento anni dal libro “Argonauti del pacifico occidentale” che l’antropologo Malinowski aveva scritto in seguito alla sua esperienza con gli aborigeni delle Isole Trobriand svelando la loro economia del dono.
Jacques T. Godbout nel suo “Lo spirito del dono” scrive: “definiamo dono ogni prestazione di beni e servizi effettuata, senza garanzia di restituzione, al fine di creare, alimentare o ricreare il legame sociale tra le persone”.
Una delle cerimonie tipiche dell’economia del dono è il potlatch dei nativi americani che aveva lo scopo di rendere solide le relazioni gerarchiche nei gruppi: quello che arriva ai giorni nostri è proprio rinforzare e ricreare i legami sociali. Oggi abbiamo le banche del tempo, il volontariato, i gruppi di autoaiuto, la pratica del caffè sospeso nel sociale, mentre su internet abbiamo il software libero, Netscape, Linux, Open Office solo per citarne alcuni.
Non possiamo non citare l’antropologo Marcel Mauss e il suo Saggio sul dono in cui rimarca indiscutibilmente il valore sociale del dono e non quello economico.
Un esempio degno di nota basato sull’economia del dono in Italia è Le Galline Felici, fondato da Roberto Li Calzi ed è uno dei progetti pionieri di consumo critico ed economia solidale nel nostro paese, nato dieci anni fa in Sicilia e cresciuto costantemente fino a diventare un consorzio che riunisce decine di realtà e conosciuto a livello europeo. Attraverso l’associazione collegata, Arcipelago Siqillyàh, valorizza i produttori locali e le coltivazioni tipiche siciliane, favorendo inoltre la creazione di rapporti commerciali e culturali fra i produttori siciliani e i gruppi d’acquisto solidale del centro-nord.
«Donare ci rende felici. Ognuno di noi, con un semplice gesto di generosità, diventa protagonista di un cambiamento. All’interno dell’organizzazione non profit che riceve il dono. E più in generale nella società» dice Valerio Melandri, docente di economia e da vent’anni direttore del Master in Fundraising per il nonprofit e gli enti pubblici dell’università di Bologna, ospite al Festival del Buon Vivere a Forlì.
Dobbiamo sperare che questo periodo di crisi energetica, causato da una guerra assurda, ci faccia riflettere profondamente su quale modello sociale abbiamo intenzione di basare la nostra convivenza nel futuro. Sicuramente non potremo esimerci dal costruire un modello solidale che eviti la conflittualità aberrante che stiamo vivendo in questo momento.