Cos’è l’impatto sociale e quanto vale per il calcio italiano
Che cos’è l’impatto sociale e come possiamo concretamente misurarlo? Si tratta di un ambito molto particolare dell’azione di qualsiasi organizzazione, incluse quelle sportive, e in qualche modo pionieristico. Si parla infatti molto, anche in sedi accademiche, di “impact financing” ma molto meno di “impact management”. Cioè della valutazione e poi dell’implementazione di azioni intenzionalmente positive sulla società nel suo complesso: dunque non solo sull’ambiente o su un ambito specifico ma su tutto il fronte dell’impegno sociale. Azioni assunte però in chiave sistemica, come nuovo paradigma di management, molto oltre la vecchia Csr, “corporate social responsibility”. Quasi come se tutte le organizzazioni, pur perseguendo il legittimo profitto, dovessero in qualche modo ragionare e agire come “b corp”.
Il valore del sistema calcio in Italia
Anche il calcio si sta di recente avvicinando a questo tipo di approccio, cercando di ampliare la propria comunità di riferimento dai tifosi ai cittadini e di creare valore ben oltre le tradizionali tifoserie locali che seguono le squadre. Secondo una recente analisi della Federazione italiana gioco calcio e Uefa oggi in Italia abbiamo oltre un milione di giocatori tesserati per un impatto sul paese che supera i tre miliardi di euro all’anno. Sono ricadute dirette sull’economia (26%) fra investimenti infrastrutturali e consumi degli atleti, nel campo della salute (47%) con una diminuzione effettiva della spesa pubblica sanitaria derivante dalla pratica del calcio e dell’attività sportiva e in termini di benefici sociali (27%) fra volontariato, riduzione dei crimini laddove l’attività dei club e delle società è più intensa e strutturata, formazione e occupazione. È come se ogni atleta tesserato generasse un impatto economico di 3.200 euro all’anno e sociale molto più ampio.
Gli esempi concreti di impact management
Sono molti gli esempi concreti su come le società calcistiche italiane abbiano iniziato a ribaltare la prospettiva e strutturare gran parte della propria attività, perfino oltre i risultati sportivi, in chiave di “impact management”. Alcuni arrivano fra i diversi club, che pure si stanno ancora avvicinando al tema in modo piuttosto timodo, dall’A.S Roma che con Italiacamp ha avviato negli ultimi anni specifici percorsi di formazione sia per i ragazzi, con campi estivi dedicati che hanno messo insieme discipline scientifiche e attività sportiva, sia a livello di alta formazione in collaborazione l’università Luiss, dove organizza un Master in Sport Management. Non solo: il club giallorosso, specialmente durante la pandemia, ha lanciato numerose azioni di responsabilità sociale come la consegna di pasti ai bisognosi, la distribuzione di mascherine e il coinvolgimento delle parti più fragili della tifoseria. Attiva anche l’Udinese che, attraverso azioni di compensazione economica delle emissioni, ha azzerato gli impatti ambientali del suo stadio. Quello delle infrastrutture è il fronte in cui gli impatti si possono calcolare in modo più semplice: secondo una stima Monitor Deloitte, infatti, nei prossimi 10 anni il potenziale di investimenti negli stadi in Italia è di circa 4.5 miliardi di euro, con importanti ricadute economiche e sociali che valgono fino a 50mila nuovi posti di lavoro, 3.1 miliardi di nuovo gettito fiscale per lo Stato, 25.5 miliardi di nuovi spazi di business per settore calcio e altri indirettamente collegati oltre al rilancio delle città in termini di riqualificazione urbana.
Il problema della valutazione oggettiva dell’impatto
Il problema attuale dell’“impact management” è che mancano ancora standard condivisi per la sua valutazione, come invece avviene per i bilanci tradizionali. Perfino nei colossi della consulenza gli esperti faticano ancora a trovare parametri per un’analisi oggettiva (e dunque anche economica) sulla valutazione del “social impact” del lavoro di un’organizzazione. Proprio la Figc, insieme alla Uefa, ha proposto un framework noto come Sroi, Social return of investments, che in prospettiva tutte le società sportive, incluse quelle dilettantistiche, potranno implementare per capire quanto e come incidano sui territori, sulla cittadinanza, sui quartieri in cui vivono e giocano, sulla socialità, sull’educazione e su decine di altri aspetti che appunto proiettano le strategie delle squadre sul tessuto vivo del tessuto sociale.
L’impatto sociale come progetto intenzionale e di prospettiva
Quelli citate sopra, che sono appunto solo alcuni esempi, sono “best practice che non sono più attività isolate o solo attività di comunicazione – dice Elisabetta Scognamiglio, head of communities Domain di Italiacamp – i club sono da sempre delle piattaforme sociali che generano valore per il territorio, ora la sfida però è quella di inserire l’impatto sociale nella strategia aziendale progettando attività di questo tipo a monte e successivamente misurandone il valore”. Questo cambiamento di paradigma non sarebbe fine a sé stesso “ma permetterebbe alla società di aumentare le possibilità di raccogliere capitali, ad esempio da quei fondi che ricercano quella specifica tipologia di investimenti ad impatto sociale”.
L’impatto sociale non può dunque essere semplificato negli esiti positivi delle azioni messe in campo, talvolta perfino involontariamente, ma deve essere un progetto “ex-ante”, cioè generato intenzionalmente. La sfida per il futuro è estendere il modello Sroi per analizzare l’impatto prodotto sul territorio anche alle società calcistiche, costruendo una metodologia condivisa che possa avere una proiezione di sistema. E cambiare davvero il modo in cui si fa impresa, anche calcistica e proprio in un periodo di crisi che oltre ai risultati e alle vittorie chiede soprattutto risposte nuove basate sui valori.