Tutti sanno cosa fa un avvocato. Ma il Community Manager? Invece il successo delle aziende è nelle sue mani
Che lavoro fai?
Il Community Manager.
Ho capito: fai crescere il numero di fan su Facebook, Twitter, Instagram. Stai tutto il giorno sui social media, intrattieni gli utenti e rispondi alle loro domande.
Ecco come il 90% delle persone immagina la professione del Community Manager.
In realtà, la situazione è più complessa. Community e social media non sono la stessa cosa e la prima non si esaurisce nei secondi. Chi gestisce una comunità di utenti deve muoversi oltre le piattaforme di Mark Zuckerberg & Co. Diventa cruciale ottimizzare e far funzionare le connessioni sui luoghi proprietari del brand/azienda, quelle che potremmo definire “case madre di contenuto”, come siti, portali, blog, applicazioni ed e-commerce store, e gestire le azioni di email-marketing. Spiacente dirlo, ma è ormai palese che i social media non siano uno strumento di marketing autosufficiente: dobbiamo immaginarli e utilizzarli come degli “avamposti sociali di relazione”, dai quali gli utenti davvero coinvolti dalle nostre azioni approderanno alla casa madre.
Più il lavoro di community management è svolto in modo integrato, più il traffico che riceveremo dai social si rivelerà di qualità, composto quindi da un “people mix” di potenziali clienti, ambassador, partner, stakeholder e appassionati. Quelli che, per dirla con le parole di un performance marketer, arrivano a un’azione e quindi “convertono”. Un testo approfondito e fresco di stampa che tratta queste tematiche è Social CRM di Marco Magnaghi. Nell’ultimo anno, in particolare, i community manager di tutto il mondo si stanno rendendo conto di quanto sia poco rilevante il numero di persone collegate alle nostre pagine sociali. Riprendendo le parole del guru digitale statunitense Gary Vaynerchuk: «Non importa quanti ti seguono, importa chi ti presta attenzione».
In pratica, potrebbe rivelarsi più opportuno gestire una pagina Facebook con un migliaio di fan davvero coinvolti (come spiega la legge dei 1.000 true fans del cofondatore di Wired, Kevin Kelly), che dover attirare l’attenzione di 100.000 fan distratti e disinteressati.
Ecco un paio di esempi chiave per capire la situazione.
Nel 2010 Microsoft lancia su Facebook la pagina di Bing, il suo motore di ricerca. Per generare diverso traffico sfrutta una partnership con Farmville, il social game più popolare dell’epoca, in cui gli utenti devono gestire e mandare avanti una fattoria virtuale. Ecco il meccanismo: l’utente che diventa fan della pagina Bing, in cambio riceve crediti bonus da spendere su Farmville (ambitissimi dai giocatori). Risultato: 400.000 fan in un solo giorno! A prima vista, un ottimo risultato. E invece no.
Dopo poco tempo ci si è resi conto che quasi nessuno dei giocatori, divenuti fan per necessità, erano interessati a Bing e ai prodotti Microsoft. Erano contatti di bassa qualità, coinvolti nel modo sbagliato. Non interagivano. Risultato: l’algoritmo di Facebook (l’edgerank) che regola la visibilità dei contenuti penalizza la pagina e per la maggior parte dei fan i post scompaiono letteralmente dalla bacheca.
Situazione opposta: in Norvegia Burger King propone agli utenti non affezionati (coloro che non interagiscono mai) di abbandonare la fanpage in cambio di un Big Mag, il panino più famoso del principale competitor, Mc Donald’s. Dopo una settimana di attività la pagina viene abbandonata da 30.000 utenti, trasformandosi in una pagina di 8.481 fan. Pessima idea, direte voi. E invece no. Il tasso di coinvolgimento sale vertiginosamente e la pagina diventa per uno strumento efficace come non mai per comunicare e promuovere ai veri fan.
Oltre a questo, è sempre più rilevante la confidenza che un Community Manager deve dimostrare di possedere sulle metriche di analisi. Sui social media, in particolare, non dobbiamo accontentarci dei dati che ci offrono le piattaforme (quale Facebook Insights o i dati aperti dei gruppi LinkedIn), ma ragionare con statistiche più approfondite in grado di calcolare specifici tassi di coinvolgimento e la portata delle singole attività quotidiane. Tra i più autorevoli player che sviluppano strumenti e soluzioni di analisi troviamo Socialbakers, che propone anche guide gratuite utili ad approcciarsi alla Social Media Analytics in modo strutturato. Ecco un ebook recente che non dovete farvi scappare: Measure Social Media Like a Pro.
Infine, uno sguardo verso il futuro: cosa cambierà? Dobbiamo aspettarci nuove piattaforme, altre rivoluzioni digitali? Tra le innumerevoli letture proposte dai diversi esperti globali, una particolarmente intrigante è la seguente: le community online dovranno permettere agli utenti un alto livello di “publicy” (concetto sdoganato dallo studioso Stowe Boyd in un illuminante articolo), ovvero offrire un grande livello di apertura, tra i CM, gli utenti e la realtà promotrice della community, e allo stesso tempo permettere un ritorno alla privacy, creando delle zone franche di intimità, di “segreto sociale”. Non è un caso se tra le startup più in voga quest’anno sia emerso un nuovo social network dove i messaggi condivisi si autodistruggono dopo pochi secondi: si chiama Snapchat ed è una delle nuove frontiere dell’interazione.